L’Italia muore sotto il cumulo di “cose all’italiana”, ovvero quei piccoli e grandi soprusi che si accettano senza mai indignarsi davvero
Alcuni giorni orsono, Giovanni Maria de Pratti, uno dei redattori del nostro giornale nonché prezioso amico, mi raccontava una sua disavventura che vengo a narrarvi.
Il Nostro doveva raggiungere il suo ufficio presso l’università a Roma. Preso il treno locale si vide costretto a scendere alla stazione di Tivoli per poi proseguire, con un ulteriore treno da quella di Bagni.
L’inconveniente era da attribuirsi ai lavori di miglioramento della linea ferroviaria. Oddio se questa da una parte si giovava di quelle migliorie, dall’altra creava difficoltà ai passeggeri paganti. Comunque il nostro eroe, giunto al suo ufficio, non potè aprirne la porta: il blocchetto della serratura era stato sostituito.
Era stato avvertito qualcuno? Manco per nulla! In compenso non si trovava nemmeno il custode della nuova chiave: tutto normale in Italia.
LE “COSE ITALIANE”
Questa somma di disavventure normalmente la cataloghiamo col titolo di “cose italiane” come fossero una caratteristica della nazione alla quale, obtorto collo dobbiamo assoggettarci.
La vicenda mi ha portato a riflettere su altre “cose nostrane”. Prendiamo l’accaduto alle bimbette vittime di balordi a Caivano. Orbene scopriamo dopo decenni che il posto ricopre il primato europeo quale piazza di spaccio più grande. Nulla era stato mai intrapreso per porre termine a quel degrado urbano sebbene autorità locali e forze dell’ordine ne fossero a conoscenza.
SPARARE COSA VUOI CHE SIA?
“Cosa italiana” appare essere, anche l’uccidere con disinvoltura, nottetempo, un orso che entra nel giardino: cosa vuoi che sia? Alla fine si tratta solo di un animaletto randagio anche se poi risulta essere Amarena, l’iconico simbolo del Parco Nazionale d’Abruzzo.
Al di là di tutte le implicazioni morali, economiche e legali, mi domando: ”ma cosa ne faceva, l’uccisore, poi, della carcassa dell’animale?”. Non avrebbe potuto chiamare la forestale o i netturbini per disfarsi dei ferini resti e allora? Ne avrebbe fatto bistecche? No, forse pensava di disporre la pelle dell’animale sul pavimento vicino al pianoforte a coda! Magari voleva sdraiarsi accanto al caminetto e giacersi sul peloso zerbino per accompagnarsi voluttuosamente, flûte di champagne alla mano, con la femme fatale di turno? “Sò cose italiane…!“
TORNARE A CASA
Il catalogo delle “cose italiane” non trova limiti. Diventa normale assentarsi da casa alcuni giorni per, poi, ritrovarla occupata. Naturalmente, magistrato o prefetti non possono fare nulla, anzi bisogna continuare a pagare affitto o condominio e le spese dei servizi per la stessa.
Stesso vale per le case sfitte dell’Ater o per l’occupazione di edifici pubblici. Firenze, è salita alla ribalta delle cronache per la vicenda della povera Kata. L’albergo in cui viveva era occupato abusivamente da varia umanità.
Una donna gestiva senza autorizzazione l’albergo e incassava a suo profitto gli affitti delle stanze le quali, manco a dirlo erano abitate da altri abusivi la cui presenza non era segnalata, come di dovere, all’anagrafe del comune o presso la polizia locale. Tutti sapevano tutto, sindaco compreso, che, però, era intento a suonare il violino… .
VARIA UMANITÀ
Negozi e ristoranti stranieri, per la maggior parte, non sembrano emettere scontrini fiscali e tanto meno badare alle minime norme igieniche. Nelle grandi metropoli, turisti e cittadini sono oggetto di un continuo borseggio da parte di personaggi consapevoli della loro impunità per età o per diuturna “fertilità” ( la loro cultura pare non proteggere la futura madre dal proseguire nel lavoro nonostante la felice attesa o nel rispetto dello stato puerperale).
LA COSA PUBBLICA
Non solo malaffare. Quando ci si rivolge alla cosa pubblica per le nostre necessità, salvo rari casi, c’è da porsi le mani nei capelli.
Lungaggini, impreparazione degli addetti o disguidi costellano il servizio pubblico. “E che ce vòi fa?” si dice a Roma, la mia città ormai patria di ratti e cinghiali.
Accade che, dopo una estenuante fila all’Asl i terminali non funzionino oppure è rotta la stampante o presso gli uffici comunali, la visura catastale è incompleta. Accade anche che si è inviati dall’un sportello all’altro per tornare a quello di partenza come in un folle “gioco dell’oca”.
A questi inconvenienti facciamo spallucce, dopo aver tirato giù un bel po’ moccoli. Ormai siamo rassegnati e quando qualcuno reagisce in un moto d’ira gli viene risposto: “Che ci vuoi fare, siamo in Italia“. Ma è giusto questo?
L’ITALIA È FINITA? LEGGIAMO CALAMANDREI (fatelo per favore)
Quando i Padri Costituenti (tra cui Bernardo Mattarella padre del nostro Predidente della Repubblica) stilarono la Costituzione Italiana, attualmente ritenuta la più moderna d’Europa, pensarono al bene della Nazione. Stabilirono, così, alcuni principi e vi pongo una domanda: pensate che essi siano mai stati rispettati?
Ecco una parte del discorso che Piero Calamandrei, anche lui uno dei padri costituenti, tenne ai giovani a Milano il 26 gennaio 1955, nell’ambito di alcune conferenze sulla Costituzione:
Sull’istruzione
“L’articolo 34 della Costituzione dice: «I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». Eh! E se non hanno i mezzi? Allora nella nostra costituzione c’è un articolo che è il più importante di tutta la Costituzione, il più impegnativo per noi che siamo al declinare, ma soprattutto per voi giovani che avete l’avvenire davanti a voi. Dice così:
«È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
È compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana: quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo.
Sul lavoro
Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto un’uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la società.
E allora voi capite da questo che la nostra costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno di un lavoro da compiere.
L’importanza della Costituzione
Io mi ricordo le prime elezioni dopo la caduta del fascismo, il 2 giugno 1946: questo popolo che da 25 anni non aveva goduto le libertà civili e politiche, la prima volta che andò a votare dopo un periodo di orrori – il caos, la guerra civile, le lotte, le guerre, gli incendi. Ricordo – io ero a Firenze, lo stesso è capitato qui – queste file di gente disciplinata davanti alle sezioni, disciplinata e lieta perché avevano la sensazione di aver ritrovato la propria dignità, questo dare il voto, questo portare la propria opinione per contribuire a creare questa opinione della comunità, questo essere padroni di noi, del proprio paese, del nostro paese, della nostra patria, della nostra terra, disporre noi delle nostre sorti, delle sorti del nostro paese.
Quindi, voi giovani alla costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come cosa vostra, metterci dentro il senso civico”.
ALCUNE CONSIDERAZIONI
Che fine hanno fatto tutti i principi che i Padri Costituenti hanno infuso nell’Atto fondamentale che sancisce e regola la vita democratica italiana? Non a caso ho citato Calamandrei. Nel suo discorso dichiara:
“È compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana: quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti”.
Oggi vediamo i risultati del dimenticare questo principio in uno degli insegnamenti fondamentali: la medicina. Si è voluto porre freno al libero e democratico accesso a questo corso di laurea attraverso quiz strampalati che pongono ostacoli allo sviluppo della persona umana anzichè toglierli. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: dobbiamo mendicare medici dalle altre nazioni! Proprio l’Italia la cui scuola di medicina è sempre stata considerata la più alta del mondo!
Ho interpellato diverse persone chiedendo loro un parere sui quiz proposti ai novelli candidati alla frequenza dei corsi ed ecco le risposte: “sono cose italiane”, “succede solo da noi”. Insomma “niente di nuovo sul fronte occidentale” per dirla con Erich Maria Remarque.
Ripeto: è questa l’Italia? Questo raffazzonato assemblaggio di leggi e leggine spesso create ad hoc la cui amministrazione è ormai gestita con un malcauto pressappochismo? Dite di no? Ricordate la recente vicenda di Brescia dove un marito bengalese denunciato per aver picchiato la moglie, secondo il PM andava assolto per “fatto culturale“? È questa la nazione culla del diritto sin dai tempi di Giustiniano i cui codici sono ancora oggi alla base della legislazione mondiale? Eh ma son cose italiane… .
IL CODICE PENALE
Porto alla vostra attenzione un particolare: l’attuale codice penale prende il nome da Alfredo Rocco, Ministro di grazia e giustizia del Governo Mussolini. Seppure integrato da un nuovo codice di procedura è sempre quello in vigore. Sicuramente a quei tempi (che non tornino più) esistevano pene severe e certezza della pena. Oggi perché quel codice non produce più gli stessi effetti?
Non sono un bieco conservatore e tanto meno uno stalinista inveterato. Sono una persona che si chiede fino a quando questa decadenza civile continuerà a produrre i suoi effetti; fino a quando lo permetteremo? Estrinseco un mio ultimo pensiero quasi da quel complottista che non sono. Da anni nelle scuole è stato abolito lo studio dell’educazione civica. Occupava un posto modesto nei programmi scolastici ma quanto meno forniva ai giovani la conoscenza basica dell’organizzazione dello Stato Italiano, una sorta di manuale d’uso. Successivamente, l’insegnamento, non ha più fornito una adeguata formazione sull’utilizzo dell’italiano scritto. Sovente, in ambito giornalistico, universitario e politico, si ammirano dei veri strafalcioni scritti e parlati. Ebbene “cui prodest” tutto ciò? Perchè continuiamo a mandare alla deriva la nostra nazione quasi al grido di “tanto peggio, tanto meglio“?
L’andamento della nostra vita quotidiana, si sta sgretolando come in una sorta di frana civile da arrestare con urgenza. Credo che l’idea di Italia, così come era stata sognata dai nostri antenati, non si sia mai concretizzata, anzi pare sottoposta ad un continuo, logorante, sabotaggio. Al suo posto vivacchia una nazione un po’ lazzarona e pigra, che si lascia andare un “tantinello” troppo, sempre più avvezza ad un lassismo che, sovente, costringe ad arrangiarsi come coscritti in una grande caserma dei tempi andati. Attenzione: senza mai indignarsi veramente!
Un saluto