Maggioranza relativa, assoluta o qualificata. Il Governo Conte, quanti ostacoli dovrà superare?
Le giornate di lunedì 18 e martedì 19 Gennaio sono state “lunghissime” per tutti i cittadini, desiderosi di sapere cosa sarebbe successo allo scenario politico, particolare che ci ha caratterizzato nell’ultima settimana. Dalla mozione di sfiducia mossa contro il governo Conte-bis, tanti sono stati gli interrogativi che ci siamo posti. A partire dal: cosa sarebbe successo se il Governo non avesse più goduto della fiducia – necessaria – delle due Camere del Parlamento? Che possibilità di sopravvivere avesse l’attuale Governo, definito dalla maggior parte “debole”?
Scongiurata la prima ipotesi, analizziamo la seconda.
Perché il Governo Conte è considerato debole? Tecnicamente ci riferiamo ad un Governo di minoranza. Ossia, un Governo che non gode della maggioranza assoluta, bensì di quella relativa. Ma che differenza c’è tra le due? E soprattutto: cosa comporta l’una e cosa comporta l’altra?
Per la maggioranza assoluta sono necessari la metà + 1 dei componenti di ciascuna delle due aule del Parlamento; mentre per la relativa la metà +1 dei presenti. Si consideri, inoltre, che per rendere la votazione valida, c’è bisogno della presenza in aula della metà dei membri; il cosiddetto quorum legale. Inoltre, distinguiamo un’ ulteriore maggioranza: quella qualificata, che prevede una percentuale largamente più ampia; quella assoluta (ad esempio il 65%).
Alla luce delle votazioni, il Governo ha ottenuto più voti di quelli necessari per la maggioranza assoluta alla Camera dei Deputati, e la maggioranza relativa al Senato.
Ora, consideriamo la matrice di tutto, il chiodo che regge il quadro (come la definiva Kelsen): la Costituzione. Essa prevede la maggioranza relativa – salvo che non sia prevista una maggioranza speciale. Questa maggioranza è sufficiente per molte deliberazioni, tra cui il voto di fiducia. Ciò vuol dire che la Costituzione prevede la possibilità per un Governo di andare avanti anche con la maggioranza relativa. Anzi, addirittura prevede che il voto contrario di una o di entrambe le Camere non importa l’obbligo di dimissioni (articolo 94) – consapevoli però che qualsiasi progetto difficilmente vedrà la luce; tanto che, per prassi, ci si dimette.
Peraltro, ci sono ben 14 precedenti storici di Governi di minoranza (15 se consideriamo l’attuale). Ad esempio, il primo Governo Berlusconi (1994). Certo, non hanno avuto una lunga vita, perché basta un Renzi qualunque e si apre di nuovo la crisi. Come invece può accadere, ed a Conte è successo già due volte, che trovi la fiducia altrove.
Ad oggi, la speranza di una lunga vita al Governo Conte, potrebbe diventare bene comune – al fine di sbloccare il Recovery Fund – mentre la caduta del Governo, le elezioni e la formazione di un nuovo esecutivo, richiederebbero mesi.
Mesi prima dei quali noi cittadini non riusciremo a trarne beneficio e dovremo attendere ulteriormente.