Maurizio Acerbo contro Draghi sulla pandemia. «Riaprire il 26 aprile non è un “rischio ragionato”, è uno sbaglio»
«Il Presidente del Consiglio pensa di avere numeri come in altri paesi e invece ogni giorno abbiamo un numero di morti come un terremoto di L’Aquila o Amatrice»
AVEZZANO – Riaprire il 26 aprile attività e luoghi di incontro non è un “rischio ragionato” ma uno sbaglio. Parola di Maurizio Acerbo, Segretario nazionale di Rifondazione Comunista che, da Pescara, attacca senza mezzi termini il Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi, e il su piano di gestione della pandemia da Covid.
La scelta di riaprire il 26 aprile, secondo Acerbo, è dettata dai voleri di Confindustria e della finanza e non tiene conto di una situazione drammatica del paese senza considerare che il numero dei decessi quotidiano si può paragonare ad un terremoto dell’Aquila o di Amatrice ogni 24 ore. Insomma, per Acerbo Draghi non fa altro che assecondare i voleri dei potentati economici oltre a continuare ad obbedire alle logiche di Big Pharma delle case farmaceutiche per quanto concerne i vaccini.
Ecco la dichiarazione di Maurizio Acerbo che vi riproponiamo anche in video: «La decisione del governo di riaprire il 26 aprile, come se avessimo i numeri di altri paesi, è una scelta sbagliata dettata da logiche politiche non sanitarie. Come hanno segnalato esperti autorevoli si tratta di “rischio calcolato male”.
Dopo un anno di pandemia abbiamo superato 100.000 morti ufficiali per SARS-COVID19, un numero sottostimato rispetto alla reale portata della pandemia in termini di decessi diretti e indiretti, basti pensare che il 2020 è stato l’anno con più decessi assoluti dal secondo dopoguerra ad oggi con 100.525 morti in più rispetto alla media dei 5 anni precedenti (2015-2019). “Solo” 75891 censiti ufficialmente come SARS-COVID-19.
La seconda ondata in termini di vittime è stata peggiore della prima, furono 34.278 i decessi tra marzo e maggio 2020 mentre oltre 65.000, quasi il doppio, tra ottobre e marzo. Tra giugno e settembre i decessi erano stati appena 1837. Paghiamo un prezzo indegno in nome della “convivenza con il virus”, per aver accettato i diktat di Confindustria e la demagogia della destra, per il mancato lockdown come avvenne tra marzo e aprile 2020. L’Italia a colori si è rilevata inefficace per la salute, per la salvaguardia del sistema sanitario e per la stessa economia.
Nella prima ondata il picco dei decessi ufficiali per Covìd è stato 969 il 27 marzo, nella seconda 993 il 3 dicembre. Nella prima ondata dopo due mesi dal picco dei decessi, le morti giornaliere erano costantemente sotto le 100 unità fino ad azzerarsi in molte regioni durante l’estate. Nella seconda ondata dopo tre mesi dal picco e tuttora il numero dei decessi medi è stato abbondantemente sopra i 200, in questi giorni la curva è di nuovo in crescita e le cifre si attestano e superano i 300 morti al giorno ormai da quasi un mese.
Calcolando 100 giorni dopo i rispettivi picchi dei decessi (27 marzo 2020 e 3 dicembre 2020), la differenza tra la somma dei morti giornalieri è di 18.078, un numero destinato ulteriormente a crescere. Al 15 aprile 2021 la differenza è sopra quota 30.000. È evidente che la strategia delle zone colorate non è un lockdown e non sta evitando la terza ondata malgrado l’introduzione dei vaccini.
Il mancato lockdown ad ottobre 2020, l’Italia leopardata e la zona arlecchino, ha determinato un eccesso di mortalità oltre i numeri già intollerabili. È chiaro che c’è stata una scelta “consapevole” nel sacrificare vite umane pur di non scontentare le richieste di Confindustria. È stato scelto di costruire sui cattivi comportamenti individuali o su alcune categorie simboliche (ad esempio runner, ristoratori, operatori della cultura) l’immaginario dell’untore molto al di là di quanto scientificamente sarebbe stato lecito dire. Sia con Conte che con Draghi, il Governo e Confindustria decidono a tavolino chi vive e chi muore, siano esse imprese o lavoratori, giovani o anziani, altro che solidarietà è la ferocia del capitale. Eppure i soldi ci sono e ci dovrebbero essere per la tutela della salute prima di ogni altra cosa. Sarebbe stato possibile un intervento ben più massiccio della Bce, sarebbe stata possibile una patrimoniale sulle grandi ricchezze, è possibile effettuare scostamenti di bilancio e bilancio in deficit. Come nella prima ondata si poteva tenere aperto solo l’essenziale (al netto dei furbetti del codice Ateco) e dare un ristoro e un reddito dignitoso al paese fermo, per un nuovo vero lockdown. Dove la pandemia è scomparsa e la vita è ripresa a pieno regime è perché in quei paesi si sono praticate chiusure vere non pasticci a colori.
Oggi con un numero elevato di decessi e quindi anche contagi, rischiamo di vanificare anche la lentissima campagna vaccinale e di essere travolti dalle varianti. Il virus corre troppo veloce, i tracciamenti sono saltati, il personale sanitario continua ad essere numericamente insufficiente e comprensibilmente sfinito davanti a numeri di decessi più simili ad una carneficina che ad un’emergenza sanitaria. Se vogliamo davvero metterci alle spalle questo virus ed evitare di continuare a contare i morti come se ogni giorno ci fosse il terremoto de L’Aquila o quello di Amatrice servono scelte responsabili non riaperture demagogiche. È evidente che si fanno scelte sulla base del calcolo dei voti non su quello dei morti». Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista.