“Mondo è stato”: intervista allo scrittore Michele Burgio, finalista del Festival “Giallo Garda” e all’editor Raffaella Catalano
L’aereo è atterrato abbastanza in orario a Punta Raisi, e la corsa alla Vucciria è d’obbligo prima di poter incontrare le persone da intervistare. E’ un po’ reimmergersi nell’atmosfera magica di questa città, nella quale torno sempre con grande piacere.
Per andare all’incontro è ancora presto e così fo’ un salto a San Giovanni degli Eremiti a respirare la sua atmosfera senza tempo…
Guardo l’orologio: son quasi le dodici ed è ora di andare.
Ci vediamo in una vecchia trattoria siciliana (niente nomi per non fare pubblicità). Arriviamo tutti insieme.
Il tempo è bello, l’aria non troppo calda in fin dei conti, ci salutiamo e ci accomodiamo e così nasce una sorta di conviviale giornalistica, un po’ come quelle che sarebbero piaciute a Mario Soldati.
Le prime domande sono a Michele Burgio, l’autore di “Mondo è stato” e che è finalista al Festival Giallo Garda, mentre Raffaella Catalano, la editor della casa Editrice che ha pubblicato il romanzo di Michele mi “talìa” aspettando il suo turno.
Michele assaggia qualcosa e poi si ferma e così colgo l’occasione per la prima domanda:
“Come nasce il tuo interesse per la scrittura?”
“Ho sempre letto molto – ancora di più leggo adesso – e ho scritto da sempre… Fino ai sedici anni si è trattato solo di racconti e articoli sui giornalini scolastici. Poesiole, anche, che sempre più di rado mi capita di scrivere pure adesso. Poi la scrittura creativa è stata compressa dal lavoro della ricerca universitaria cui mi sono dedicato anima e corpo per circa tre lustri. L’idea di affrontare la stesura organica di un romanzo è arrivata in età matura, attorno ai trentacinque anni, dopo un fulminante incontro con un maestro elementare. Da allora intendo la scrittura come una palestra, nella quale la parola diventa esercizio che merita la stessa acribia dell’atleta che ricerca la migliore prova fisica…”
Lo incalzo: “Perché il romanzo giallo?”
La risposta viene spontanea: “L’idea di scrivere un giallo nasce dalla frustrazione di non riuscire a essere preso sul serio dagli editori coi miei romanzi “non gialli”. Il mio cruccio maggiore è legato a ‘U tortu, segnalato al Premio Calvino e che pure trova difficoltà a trovare un editore pronto a scommettere seriamente. Si parla, si parla, ma poi…“
La risposta incuriosisce: “Come nasce “Mondo è stato”?”
Michele risponde di getto: “Un giorno mi si è presentata davanti agli occhi l’immagine di Luca D’Avola. È come se questo ragazzino magrolino e sfuggente mi avesse chiesto di raccontare la sua storia. Non so se hai presente il racconto popolare del friscalettu siciliano, ecco. Mi parlava di una storia torbida con una voce che veniva da un luogo lontano, una profondità che udivo a malapena. Ma ho deciso di ascoltarlo. Ed eccoci qua.“
La Sicilia di Michele Burgio che Sicilia è? Ha una piccola esitazione, forse ricorda il monologo del principe nel Gattopardo, quando dice “…esiste una sola Sicilia, la Sicilia non può cambiare perché noi siciliani siamo come dei, siamo perfetti…“, poi risponde con enfasi: “È legittimo e auspicabile che la Sicilia riesca a liberarsi dagli stereotipi e persino che possa superare definizioni che si basano su analisi lucidissime ma troppo lontane nel tempo. Eppure è innegabile che la Sicilia ha una sua identità forte che si respira nell’aria, è disegnata sulle pietre. Non è facile fare i conti coi giganti che ci hanno preceduto e al contempo con la brutalità quotidiana di una terra in costante sprofondamento…”
Si mette a sbocconcellare un pezzo di pizza, sembra riflettere sulle sue parole: lo lascio fare e mi rivolgo a Raffaella Catalano che è stata lì, a lungo, a guardarci e anche lei a riflettere sulle sue parole.
Raffaella Catalano con una lunga e profonda esperienza di editor (è stata presso la casa editrice Dario Flaccovio a lungo, per quel che ne so, non le chiedo un curriculum perché la guardo negli occhi e vedo che la sua esperienza è lunga!) ma anche di scrittura come vedremo.
Si rende conto che è giunto il suo turno, di rispondere dico, e mi guarda con un lieve sorriso.
Ci capita spesso di interloquire con qualche scambio di vedute e quindi conosco un po’ il suo lavoro e così chiedo: attraverso il racconto delle tue giornate conosciamo il tuo lavoro, ma quanto è davvero difficile?
Risponde con la sua schiettezza: “La difficoltà dipende dai romanzi: se sono scritti abbastanza bene, se hanno una buona trama di base e dei personaggi convincenti, se la struttura regge e se gli autori sono ben disposti a collaborare, il lavoro è solo di limatura, quindi diventa una passeggiata su strade in cui non si inciampa, dalle quali va soltanto rimosso qualche sassolino. Invece diviene un terreno accidentato, sul quale editor e autori devono cercare di non cadere, se mancano alcuni di questi presupposti. Talvolta, più che editing, di certe parti di un testo si deve fare una riscrittura, si deve “insegnare” ad alcuni autori la sintesi o la corretta costruzione di un dialogo o l’importanza della verosimiglianza e anche della documentazione, soprattutto in caso di riferimenti ad ambiti tecnici. Come nel giallo o il noir, nei quali l’investigazione e gli aspetti scientifici e legali hanno regole ferree. Ma l’errore più diffuso e tipico di molti esordienti è la prolissità. Si tratta di casi in cui magari il romanzo è buono, ma se chi è alle prime armi tira avanti per trecento pagine o più, finisce inevitabilmente per gestirlo male, perché non sa più tirare le fila o fa precipitare l’editor in un abisso di noia...”
E’ una risposta che lascia intuire assai bene il coinvolgimento, la complessa relazione fra scrittore e suo editor.
Mi si apre dinanzi uno spazio nel quale navigare e chiedo ancora: Editor e esperienza di scrittura: che rapporto c’è davvero?
Non ha esitazioni nel rispondere: “In primo luogo direi che è l’esperienza di lettura a formare un editor. Quando avevo appena cominciato a leggere, da bambina, mia nonna mi regalò un dizionario e mi disse: “Mettilo sul comodino e la sera, prima di addormentarti, incuriosisciti di qualche parola”. E io ho cominciato così ad amare i libri e da lì ho iniziato ad apprezzare anche la narrativa. Poi ho fatto molta esperienza di scrittura (di articoli e di titolazione) perché per tanti anni sono stata giornalista e già allora qualche mio collega mi passava i suoi pezzi per spulciarli e scovare eventuali errori. Credo che da lì mi sia nata la passione per l’editing. Un mestiere che ho imparato via via, di cui ho fatto esperienza sul campo, e che mi impegna e mi appassiona da ventitré anni.“
Credo sia arrivato il momento di farla la domanda, forse un po’ indiscreta: anche tu hai fatto di recente una esperienza di scrittura?
Beve un sorso e poi risponde: “Io ho fatto alcune esperienze in questo ambito, sia nel campo della saggistica (legata alla cronaca giudiziaria) che del romanzo, ma sempre con uno o più coautori. Scrivere da sola non mi stuzzica, non ne ho mai sentito il desiderio. Ideare un testo di narrativa insieme ad altri, invece, mi ispira spunti, trame e personaggi, e soprattutto è uno svago. Di recente ho pubblicato “A Salina il vento cambia” (Leima edizioni), un romanzo scritto insieme a mio marito, Giacomo Cacciatore, che è uno scrittore professionista di lungo corso. Ci siamo divertiti moltissimo. Con lui e un altro autore avevo pubblicato anche una storia precedente ambientata a Salina, ma del tutto diversa.“
Mi ricordo che voglio leggerlo quel libro, appena possibile!
Mi accorgo dello sguardo curioso che ci rivolge Michele e così torno da lui, non prima però di aver assaporato quel Sirah, appena un po’ ambrato, forse delle colline di Ibla!
“Michele, – chiedo – quanto veri sono i tuoi personaggi, ti sei ispirato a qualcuno reale?“
Esita un momento prima di rispondere, forse è una domanda un po’ indiscreta: ogni scrittore ha le sue fonti, come i giornalisti e non vuole condividerle. Però, assaggia anche lui il Sirah, sembra trarre ispirazione per la sua decisione da quel profumo che sa della terra antica dei Ciclopi, e mi risponde: “Ad esclusione di zia Nannina, assai simile ad una parente che ho molto amato e che portava questo nome, tutti i personaggi sono frutto di fantasia. Per me, che provengo da un piccolo paese, sarebbe stato rischioso e inopportuno creare analogie e verosimiglianze, quindi è meglio così. A dispetto del nome Serrapriola non è Serradifalco e non esiste nessun Sergio Vilardo, se non nella mia testa. Di don Orazio, poi, non ne parliamo…”
Rifletto un po’ sulle sue parole e comprendo meglio il romanzo che ho letto, che ho recensito… C’è sempre una dimensione segreta, ulteriore, dietro i personaggi che in fondo son maschere di Pirandello, infine!
Torno da Raffaella che ha seguito con attenzione particolare questa ultima risposta.
Le chiedo un po’ di botto, forse vorrei sorprenderla: come è stato il tuo rapporto con Michele Burgio attraverso il suo romanzo?
Non è sorpresa, da buona editor forse se la aspettava da un pezzo. “Eccellente. Innanzitutto, io sono rimasta folgorata dalla piacevolezza del suo “Mondo è stato”, che quindi ho scelto di inserire nella collana Le dalie nere che dirigo con mio marito per l’editore Ianieri. Anche perché è piaciuto tanto anche a Giacomo. Poi io e Michele abbiamo lavorato all’editing, in grande sintonia, ci siamo confrontati costantemente, via mail e per telefono. Ogni tanto abbiamo anche “deragliato” rispetto alle conversazioni inerenti al romanzo e ci siamo ritrovati a parlare di altri libri, di editoria, di storture di questo settore e… persino di cucina, scoprendo passioni che ci accomunano. E così, divagando, siamo diventati amici. Scherzando, ma non troppo, lui mi dice spesso che, durante l’editing di “Mondo è stato”, gli ho contagiato alcune mie idiosincrasie, come la mia avversione per le ripetizioni e quella per l’eccesso di avverbi modali. Al punto che lui adesso scova queste cose, con fastidio, in tanti libri altrui.“
Vorrei chiederle quanto un editor influisce sull’autore e il suo scrivere, però mi rendo conto che ha già risposto, che forse è un camminare insieme tenendosi per mano…
Mi accorgo di aver lasciato una cosa come in sospeso e riguarda la Sicilia e allora le chiedo: ho chiesto a Michele quale sia la sua Sicilia e come vedi tu la Sicilia e la Sicilia di Michele?
Sorride. “La Sicilia la vedo come la mia terra. Ma non sono accecata dall’amore, che pur provo, per quest’isola. Ne vedo i tanti pregi, ma anche i difetti, spesso insopportabili. E comunque è una terra feconda per la narrativa che ha prodotto, e per certi suoi autori, e non mi riferisco solo a quelli classici. È un luogo che ispira belle storie e riflessioni interessanti. La Sicilia di Michele e del suo “Mondo è stato” è quella reale: è ritratta, in scala ridotta, nel paesino immaginario (ma non troppo) che lui ha battezzato Serrapriola, nel quale si ritrovano dinamiche sociali tipiche non solo della nostra isola, ma dell’Italia in genere e della sua provincia. Però quello che rende speciale il microcosmo “serrapriolesco” creato da Michele è soprattutto la sua prosa, sempre ricca e sorprendente. Frutto di letture di qualità.“
Ho dimenticato una cosa prima, spinto dalla curiosità non ho chiesto come abbia visto i personaggi di Michele?
Mi sorride di nuovo, come a dire che si aspettava la domanda. “Con immensa simpatia. Soprattutto zia Nannina, la vera star della storia, e il giornalista Sergio Vilardo. Ma anche i suoi “cattivi” sono affascinanti. Trovo che Michele non sia mai giudicante nei confronti dei suoi personaggi. Non è uno scrittore da mannaia, ma da carezza. Li dipinge in modo realistico, questo sì, ma non fa mai calare la sua scure su di loro: tiene in considerazione l’origine delle miserie umane, di certe debolezze. D’altronde, chi non ne ha?“
E così il quadro è completo, so tutto di quei personaggi.
Levo il bicchiere verso quello di Raffaella, non è solo un brindisi, ma un omaggio alla sincerità con la quale mi ha risposto.
“Michele, – dico allora, forse per andare un po’ oltre – raccontami in dieci parole la tua partecipazione al Festival dove sarai premiato?
Mi sorride anche lui e risponde un po’ emozionato: “Giallo Garda sarà un’occasione per imparare e ascoltare. Sono davvero onorato di essere stato inserito in questa terna.“
Mi rendo conto che è il momento di farla quella ultima domanda, forse un po’ d’obbligo.
Mi guardano, sanno entrambi che sta arrivando l’ultima domanda. Stranamente sono emozionato anche io e dico, quasi a mezza voce: “quale è il sogno nel cassetto e quale sarà il tuo prossimo lavoro?“
Non sembra aver bisogno di pensarci e risponde subito, di getto: “Il mio sogno – direi più concretamente il mio obiettivo – è quello di riuscire a contribuire al racconto di una Sicilia vera, non patinata, valorizzare i luoghi del suo entroterra e descrivere quello che alberga nel profondo dell’animo dei suoi uomini. Il prossimo libro vedrà la luce nel 2024, sarà il secondo di quella che vorrei fosse una trilogia che affronta, capitolo dopo capitolo, Chiesa, Antimafia, Politica: tre entità nominalmente positive sulle quali si attorciglia invece il “male oscuro” di questa terra.“
Scende il silenzio, Sembra che tutti stiano riflettendo su ciò che è stato detto.
Terminiamo, parlando d’altro, il pranzo: la cassata è meravigliosa…
Guardo l’orologio: è tardi, c’è un aereo che mi aspetta, forse è già in pista…
Ci salutiamo.
Mentre salgo sul taxi, li guardo e poi mi guardo intorno e li vedo come personaggi, testimoni di questa terra che amo e scopro che, forse, siamo anche un po’ amici!