Mosè a Roma
ROMA – Ma quanti Mosè ci sono? Non so nelle altre città, ma a Roma ne abbiamo due, in realtà tre se consideriamo la fontana del Mosè salvato dalle acque dove il Nostro è un pargoletto infilato in una cesta. Quello famoso, del Buonarroti, si trova nella basilica di San Pietro in Vincoli dove sono custodite le catene che legarono San Pietro. L’altro ve lo dico dopo.
Scrivere sul Mosè di Michelangelo implica spendere due parole sulla chiesa, anzi basilica, che lo ospita. La Chiesa, capolavoro incluso, si raggiunge da Via Cavour grazie a una scalinatella. Fatta tutta la scalinata si arriva a una piazza con una chiesa e vicino, la facoltà di ingegneria. Lasciate perdere la facoltà ed entrate nella chiesa: là dentro c’è tutto.
Sembra che Eudocia, madre di Eudossia (che razza di nomi!) unica figlia dell’Imperatore d’Oriente Teodosio II, avrebbe avuto in dono dal Patriarca di Gerusalemme, le catene che costrinsero San Pietro durante la prigionia a Gerusalemme e le avesse donate alla figlia. Eudossia mostrò le catene a Leone I il quale pensò bene di avvicinarle a quelle che imprigionarono Pietro mentre era ospite del Carcere Mamertino e oplà, miracolosamente, le due catene si fusero assieme. Il miracolo della fusione delle catene, una proveniente da Oriente e una da Occidente, assunse un grande significato simbolico e politico in quanto dimostravano un forte legame tra i due imperi (quello romano d’Oriente e quello romano d’Occidente). Ce lo vogliamo fare un luogo di culto dove conservare cotanto miracolo? Certo che sì e fu edificata San Pietro in vincoli.
In questa basilica è collocata la tomba di Papa Giulio II che ebbe, nella sua vita, un rapporto con Michelangelo mica tanto tranquillo: gli aveva commissionato niente meno che gli affreschi della volta della Cappella Sistina dei quali, però, mai vedeva la fine. Sembra ancora riecheggiare la voce del Papa impaziente dire a Michelangelo: – Be’, questa cappella quando sarà finita? ” “Quando potrò, padre santo”. Quella volta, il papa, che aveva una mazza in mano, lo percosse esclamando “Quando potrò, quando potrò, te la farò finire bene io”. Comunque Papa Giulio II mica era micco e gli commissionò la sua tomba ed ecco là che Michelangelo ci diede di scalpello e ti tirò fuori quella scultura che è il Mosè.
La possente statua del Patriarca ha una particolarità: c’ha le corna. Eh già! Mosè ha due cornette che gli spuntano dal capo le quali, secondo la tradizione biblica, dovrebbero essere i due raggi che gli fuoriuscivano dal capo quando scese dal Monte Sinai. Orbene In ebraico “raggi” si scrive “karen”, che però nella Vulgata fu trasformato in “keren” (corna). Michelangelo attenendosi a questo testo prese le “corna” per “raggi di luce”, trasformando il povero Mosè da Raggiante a Cornuto. Signori miei che sbaglio!
Terminata, la statua, non ebbe pace. Sembra che Michelangelo abbia fatto girare il volto di Mosè, che era in posizione frontale, 25 anni dopo che l’aveva terminata e consegnata. Si pensa che probabilmente fece la modifica per distogliere lo sguardo della statua dalle reliquie sacre delle catene di San Pietro, poste sotto l’altare. Far assumere una posizione diversa ad una statua dopo averla scolpita non è una cosetta da tutti, ma Michelangelo riuscì in questa impresa e così, oggi, il profeta guarda la luce che proviene dal portone della chiesa a ricordo dei raggi di luce che ricevette sul Sinai. La povera opera si beccò pure una martellata dal Nostro perché contemplandola egli stesso rimase stupito dalla perfezione delle sue forme ed esclamando “Perché non parli?” gli affibbiò una mazzuolata su un ginocchio. Le peripezie di Mosè non finirono lì: la tomba di Papa Giulio II, Mosè compreso traslocò dalla basilica di San Pietro alla chiesa di San Pietro in Vincoli e li sta ancora. Insomma un Mosè tribolato ma che opera d’arte!
A un tiro di schioppo in linea d’aria dal nostro Mosè, ne esiste un secondo. Se il primo adorna una tomba, questo è il pezzo forte della mostra dell’acqua Felice, fontana voluta da Papa Sisto V Felice Peretti. Fatti pochi passi dalla stazione Termini siamo in piazza San Bernardo e la fontana è là. È una grossa struttura realizzata con il travertino trafugato dalle vicine Terme di Diocleziano. Spicca, al centro, il pupazzone di un Mosè raffigurato nell’atto di indicare le acque miracolosamente scaturite dalla roccia. L’opera fu attribuita a Prospero Antichi detto il Bresciano.
Una noticina a margine: il Della Porta, inviso al Papa e “fontaniere di Roma” per il gran numero di fontane da lui realizzate nell’Urbe, non fu mai consultato per la edificazione della mostra e se ne videro i risultati: durante i lavori di costruzione della fontana, sbagliarono l’inclinazione delle tubature al punto che l’acqua scorreva all’indietro anziché fuoriuscire! Torniamo alla Statua.
Il povero patriarca confrontato a quello di San Pietro in Vincoli risulta non solo un tantinello bruttino ma pure mal collocato in linea temporale, infatti imbraccia le Tavole della Legge che non aveva ancora ricevuto all’epoca del miracolo delle acque. Quanto all’esecuzione, poi… Le malelingue del tempo considerarono il Bresciano uno stuccatore con la presunzione di voler emulare il Mosè di Michelangelo (che poi stuccatore lo era veramente). Il giorno dell’inaugurazione il popolo sentenziò che Il Profeta fosse accigliato per essere stato creato da uno scultore tanto inetto. I romani, infatti, allora molto sensibili in materia d’arte, trovarono la statua tozza e grottesca: il gesto enfatico delle mani esagerato, l’aspetto tronfio e infine, il drappeggio del pesante paludamento talmente goffo da farlo sembrare un “fagottone”. Insomma lo soprannominarono il “Mosè ridicolo”. Le critiche al povero Bresciano pare fossero cosi tante che, si dice, fini per uccidersi.
Naturalmente Pasquino non stette zitto e…
Guardo con occhio torvo
l'acqua che sgorga al piè
pensando inorridito
al danno che a lui fè
uno scultor stordito
e poi…
È buona l'acqua fresca e la fontana è bella
Con quel mostro di sopra però non è più quella
O tu, Sisto, che tanto tieni alla tua parola
Il nuovo Michelangelo impicca per la gola
Anche la fontana, imponente ma brutta, ebbe il suo bravo soprannome e siccome la volle Papa Peretti il cui nome di battesimo era “Felice”, fu soprannominata “fons infelix” (fontana infelice). Piaccia o meno, però, l’opera sta li da quattro secoli!
Una segnalazione merita, disquisendo sui Mosè romani, la fontana del “Mosè salvato dalle acque” collocata sul Pincio. Il gruppo raffigura la figlia del Faraone nell’atto di raccogliere la cesta di vimini all’interno della quale vi è posto un bambino. Nella vasca, a imitazione del Nilo, ci hanno piantato pure il papiro. Alla statua mancano quattro dita della mano destra, qualche vandalo le ha troncate. Non si sa bene chi l’abbia scolpita: chi dice che sarebbe stata eseguita dallo scultore Francesco Massimiliano Laboureur, di origine francese e chi dal conte Ascanio di Brazzà. La fontana è quel che è, che vi devo dire?
Qui termina la breve storia dei Mosè romani vi saluto e come sempre passo ponte.