Niente benefici pubblici per gli allevatori del comparto ovicaprino. Gli imprenditori abruzzesi sul piede di guerra. Riunione a Pescina

AVEZZANO – Allevatori abruzzesi del comparto ovicaprino sul piede di guerra perché esclusi dai benefici pubblici previsti dalla Politica Agricola Comune (Pac).

Una discriminazione, il reparto bovino è invece incluso, che rischia di dare un colpo durissimo alle già traballanti economie degli imprenditori di questo settore. Un settore, peraltro, fortemente connesso al territorio e al suo mantenimento ambientale e climatico.

L’esclusione del comparto ovicaprino dagli interventi previsti dal Piano Strategico Nazionale-PSN della PAC 2023-2027, infatti, desta forte preoccupazione tra gli allevatori dell’Abruzzo che vedranno una riduzione di circa il 40% dei pagamenti diretti disaccopiati.

Il settore, infatti, non figura tra quelli rientranti nell’ecoschema per il pagamento del premio per il benessere animale.

“L’intervento, con il quale si intendono privilegiare gli allevamenti zootecnici che praticano il pascolamento o l’allevamento semibrado, è al momento riservato ai bovini da latte e da carne e ai suini, ma lascia fuori, appunto, il comparto ovicaprino, non considerandolo come uno dei settori che può contribuire al raggiungimento degli obiettivi ambientali della Politica agricola comune (PAC)”.

Una così alta riduzione di contributi pubblici comporterà una ricaduta sulla sostenibilità economica degli allevamenti ovi caprini in un momento in cui gli stessi sono già provati dai rincari delle materie prime.

Gli allevatori discriminati si sono riuniti, non a caso, nella città di Pescina candidata a Capitale della Cultura 2025, per ribadire l’importanza che l’allevamento pastorale riveste nel mantenimento e nella continuità del territorio attraverso la pastorizia.

“Questa forma di attività oggi è stata fortemente penalizzata, oltre che dall’atteggiamento degli enti locali desiderosi di mettere mano sul cospicuo patrimonio armentizio, che è stato in parte ormai distrutto – dicono gli allevatori -, ma anche perché preferiscono forme di allevamento intensivo o comunque meno necessitanti di manodopera in quanto gli animali vengono lasciati allo stato brado e possono comunque mungere i sostegni al reddito messi a disposizione dalla PAC.

Premesso che La civiltà dell’Appennino, che è poi la storia della regione Abruzzo, è stata fortemente sostenuta dall’attività pastorale e non a caso abbiamo gioielli di urbanistica e di centri ad altitudini che non esistono in nessun’altra parte d’Italia, vedi ad esempio Pescocostanzo a 1400 metri e considerando anche che l’attività pastorale è l’unica attività che obbliga l’imprenditore ad essere presente e custode del territorio contrariamente alle altre specie, ciò nonostante – proseguono – abbiamo assistito nell’ultima stesura della PAC ad una discriminazione del settore pastorale, hanno anche fortemente avvantaggiato altre specie.

Questo é causa di una forte preoccupazione da parte degli ultimi allevatori rimasti, il cui numero continua a diminuire costantemente.

Per questi motivi si fa appello alla sensibilità della Giunta regionale e dell’Assessore affinché possano porre rimedio alla distruzione del settore ovicaprino abruzzese – concludono gli allevatori abruzzesi – attraverso il correttivo del Complemento di Programmazione Abruzzo per lo Sviluppo Rurale 2023-2027 (CSR) che riesca a compensare almeno quanto ci è stato negato dall’Europa”.