Obelischi di Roma. Noti, spariti e da trovare.
ROMA – Quale strana fissazione portava gli antichi romani a collezionare obelischi lo sa il Cielo… fatto sta che l’Urbe ne ospita tredici, sarebbero quattordici se uno non se ne fosse andato via e quindici con quello da trovare perché, si, ce n’è ancora uno disperso….
Di monoliti ne abbiamo a iosa, egiziani e non: pensate che a Roma ci sono più obelischi eretti che in Egitto dove ne sono rimasti nove. Volete saperne qualcosa? Bene eccovi serviti! Iniziamo con la storia dell’obelisco che svetta innanzi a San Pietro e che di cose da raccontare ne ha, vedrete… Il Nostro ha un trascorso travagliato: dopo la conquista dell’Egitto da parte di Ottaviano, venne dapprima trasferito ad Alessandria poi a Roma perché Caligola lo doveva piazzare nel suo circo privato (Caligola, fu quello che elesse senatore il suo cavallo). L’obelisco fu trasportato con un’imbarcazione lunga 80 metri e (ci credete?) imbottita con 1.000 tonnellate di lenticchie. Dopo il suo arrivo, la nave, fu fatta colare a picco nel porto di Ostia allo scopo di realizzare un molo.
Papa Sisto V Peretti, in seguito, lo volle davanti alla Basilica Vaticana ma, siccome era situato presso quella che è l’attuale Sagrestia di San Pietro, l’architetto Domenico Fontana nel 1586 impiegò 13 mesi per spostarlo usando un marchingegno di legno collegato a corde ed argani, mosso da 900 uomini e 75 cavalli, demolendo le abitazioni sul suo percorso di 400 metri.
Ci vollero 139 giorni, più di 1000 uomini e oltre 40.000 scudi. Sul trasporto dell’obelisco c’è uno splendido aneddoto: durante le operazioni di innalzamento fu obbligato il silenzio agli astanti pena la morte ma durante i lavori, un marinaio di Bordighera, il capitano Benedetto Bresca, urlò “Acqua alle funi! (aiga ae corde!)” perchè i canapi dell’argano stavano iniziando a bruciare per l’attrito e quindi, in procinto di cedere. Domenico Fontana seguì il consiglio e l’obelisco fu salvo. Brasca fu arrestato, ma il Papa, non solo non lo punì ma gli chiese di scegliere una ricompensa. Il capitano ottenne di poter inviare ogni anno, dalla sua città a Roma, le palme che sarebbero state utilizzate per il periodo pasquale, cosa che avviene ancor oggi. L’episodio è raffigurato in un affresco della biblioteca vaticana che illustra l’innalzamento dell’obelisco dove, tra le tante figure, emerge quella di un marinaio in braghe verdi (Brasca) nell’atto di gridare.
Sapevate che l’obelisco è anche lo gnomone di una enorme meridiana disegnata sul selciato di Piazza San Pietro la cui ombra segna i movimenti del sole rispetto allo zodiaco? Sapevate che alle sue estremità si possono osservare i due solstizi, estivo e invernale? No? Ve l’ho appena detto.
Credete sia finita qui? Sull’obelisco c’è una palla che pure lei ebbe la sua storia. Si pensava contenesse le ceneri di Giulio Cesare; un giorno l’aprirono e… fu trovata vuota, in compenso era sforacchiata dai colpi che qualche lanzichenecco, nell’assedio di Roma, s’era divertito ad assestarle. Si disse pure che Sisto V avesse collocato nella gran croce di bronzo posta sull’obelisco una particella dell’originale ma, in occasione del suo restauro, non si trovò nulla. Alla fine (qualcosa lassù bisognava pur mettercela), nel 1740, ci infilarono una scheggia presa da un reliquiario della basilica di San Pietro a sua volta proveniente da Santa Croce in Gerusalemme. C’è ancora da dire sull’obelisco ma mi fermo qui per parlare degli altri (più brevemente).
L’obelisco più antico di Roma è quello di San Giovanni in Laterano, ha 3500 anni ed è il più alto del mondo. Vi accenno qualcosa: proviene da Assuan e supera i 45 metri, croce compresa. Questo ammennicolo fu fatto costruire da Tutmosis III in onore del padre ed era situato dinnanzi al tempio del dio Amon a Tebe dove se ne stava per i fatti suoi. Portato a Roma. siccome era il più alto monolite mai eretto nella Capitale, divenne il simbolo, per il popolo, della vittoria e supremazia della religione cattolica sul paganesimo. Come sempre accade nella Città Eterna, dopo un secolo, qualcuno si stufò e lo buttò giù. Sparì alla vista finchè Sisto V offrì un premio a chi lo avesse ritrovato. I romani si dissero ” Mò si che lo voi trovà…” e infatti fu rinvenuto, poco dopo, sotto sette metri di terra. In seguito fu piazzato su una fontana e ora sta là a fare da spartitraffico, sic transit gloria mundi!
Non scriverò di tutte le “guglie” romane ma piluccherò qua e là qualcosa di interessante, come ad esempio quello che riguarda il minuscolo obelisco posto sopra la groppa dell’elefantino di piazza della Minerva che, viste le dimensioni dell’animale, fu chiamato dal popolo il “pulcin della Minerva”. In realtà pulcino nella pronuncia dialettale dell’epoca (purcino) era simile a porcino, gioco di parole riferito all’elefante le cui piccole dimensioni e le forme rotonde erano più adatte a quelle di un maialino. Seppur criticato, il progetto ebbe sacri lombi: il Bernini e lo scultore Ercole Ferrata. Corre un aneddoto a riguardo: ci fu una diatriba tra il domenicano padre Domenico Paglia e Bernini riguardo la robustezza della struttura della statua che, alla fine, si dovette rinforzare nei modi stabiliti dal prete.
L’architetto si vendicò disegnando e ponendo l’elefante in modo che puntasse le terga verso il convento domenicano, con la coda leggermente spostata, come a salutare padre Paglia in modo alquanto… sgarbato,
Una storia triste è legata, invece, all’obelisco di villa Celimontana. Dovete sapere che durante la posa in opera sul basamento attuale, una fune si ruppe ed un operaio ebbe schiacciate le mani e parte di un braccio, il tutto amputato d’urgenza. Da allora (ci crederete?) le povere mani sono rimaste sotto l’obelisco.
Abbiamo poi la stele “che non c’è più”, quella di Axum. Proveniva dalla omonima città santa dell’antico impero etiopico. Quel brutto “coso” fu realizzato non si sa da chi tra il primo e il quarto secolo dopo Cristo, rotto in tre tronconi stava là, buttato per terra.
Non è chiaro di chi fu la bella idea di portarlo nella Capitale, fatto è che dovettero trascinarlo centinaia di soldati italiani ed eritrei per due mesi fino al porto di Massaua, tagliarlo in ulteriori pezzi, quindi caricarlo su una nave fino a Napoli e poi, con un convoglio speciale, trasportarlo a Roma. Dopo tanta fatica fu restituito all’Etiopia, nel 2004, con le scuse dell’Italia per averlo portato via. Il costo? Sei milioni e mezzo di euro. Per la verità, in precedenza, il re Hailè Selassiè,
visto l’ammontare dell’enorme esborso che avrebbe dovuto affrontare per il trasporto , disse alla Farnesina: -No, grazie, ve lo regalo -. l’Italia, cocciuta, rispose con un: – Ci mancherebbe, vi prestiamo i soldi noi – ma l’Etiopia decise di lasciarcelo come dono della rinnovata amicizia. Alla fine glielo abbiamo ridato gratis a nostre spese pure se a loro fregava nulla: noi siam fatti così…
Ed ora, brevemente, l’obelisco da trovare…
Pare che sepolto nei pressi della chiesa di San Luigi dei Francesi in Roma, ce ne sia un quattordicesimo; in effetti pochi sanno che, di traverso via Giustiniani, a pochi passi dalla sede del senato della Repubblica, a qualche metro di profondità, ci sarebbe un obelisco egiziano interrato da secoli. Giacobbo, nella trasmissione “Freedom”, fece un reportage con tanto di prospezioni con un georadar sostenendone l’esistenza e così pure Mario Dell’Arco, antico conoscitore di Roma. Immagino i romani alle prese con gli scavi per questo obelisco: “ Ecchè un altro buco? Nun bastaveno quelli che c’avemo?”
Dovrei raccontarvi dell’obelisco Marconi all’Eur e di tanti altri ma termino qui, troppe cose da narrare… Saluti.