Pacchianesimo Romano 2. “Brutto che aiuteme a dì brutto!”
“Aiutame a di’ brutto” potrebbe essere il titolo di questo articolo, seguito del precedente, dedicato a quel “pacchianesimo” romano che circonfonde la Capitale con le sue stramberie artistiche spesso fuori contesto.
Il “pacchianesimo”, in realtà pare basarsi su una travisata visione di ciò che è artistico, collocando qua e là per la città opere dalla forma e motivazione alquanto “curiose” quando non comprensibili ritenendo questo essere arte o artistico; è il caso del monumento trasteverino dedicato alla porchetta, già citato in un precedente articolo, che forse meglio avrebbe fatto mostra di sé davanti ad un ristorante di Ariccia, amena località in provincia di Roma famosa proprio per la grande produzione di questo ottimo e gustoso alimento (per chi consuma carne).
Tanta è la stravaganza di tali opere scultoree indicate da coloro che parlano bene con l’appellativo di “installazioni” (che fa tanto intellettuale) da creare una sottocorrente artistica da potersi definire come “intellettualpacchiana”.
IL TRIANGOLO DEL PACCHIANESIMO. I “TELEVISORI”
Il triangolo d’oro della intellettual pacchianità, a Roma comprende un piccolo spazio che copre Largo delle Sette Chiese alla Garbatella, conosciuta ai più come la zona della scuola e dell’osteria dei Cesaroni, Piazza dei Navigatori non poco distante e l’Eur di cui ho già fatto cenno.
Inutile dire che l’opera di seguito trattata è quanto meno discussa: il Monumento alla Resistenza. L’installazione è posta al centro di una delle rotonde di Largo delle Sette Chiese.
Una volta le rotonde lì non c’erano, poi ce le hanno piazzate e si son detti ”suvvia addobbiamole con qualcosa di intelligente e moderno” e il piazzale è stato nobilitato con un’opera in acciaio inossidabile e cemento, ideata dall’architetto Cesare Esposito in occasione del trentennale della Resistenza romana (1944-1974) e soprannominata dagli abitanti del luogo “monumento ai televisori”.
Nel 2007 si sfiorò il miracolo perché si corse il rischio di un suo spostamento. Meno male che c’era il sindaco Veltroni il quale, gettati all’aria i giornaletti che stava leggendo, intervenne in difesa della scultura . Oggi è ancora al suo posto al centro di un’ampia aiuola adornata da leggiadri cespuglietti. Tanto piacque ai romani che nessuno è più intervenuto per la manutenzione della scultura e del suo praticello. Il posto è diventato un immondezzaio e il giardinetto ha visto crescere una pianta infestante, l’ailanto, albero originario dell’Estremo Oriente, che ora è alto due metri ma che se il ciel l’aiuta e le cose continuano così è destinato a crescere a dismisura, magari scalzando l’opera d’arte.
Spostiamoci in Piazza dei Navigatori che fu un esempio dell’architettura popolare fascista. I tempi son cambiati, il ventennio non c’è più e alla dittatura d’allora con questo monumento gliel’han fatta pagare!
L’opera sorge all’interno dell’aiuola in piazza dei Navigatori a due passi dal palazzo della Regione Lazio. Già l’autore aveva infestato la zona con alcuni suoi lavoretti ma stavolta ci è andato giù con la mano pesante.
È una grande scultura bronzea di cinque metri e mezzo di altezza per una stazza di 89 tonnellate di peso. Il nome? “La vela. Sviluppo verticale” (trattandosi di Piazza dei Navigatori come la volevi chiamare?), realizzata da Luigi Gheno. Secondo gli intellettuali “il valore dell’opera di Gheno, oggi è duplice: restituire alla città una congiunzione con il mondo dell’arte, collocando all’interno degli spazi urbani il valore storico e culturale di cui è pregno, e far avvicinare ogni giorno i passeggiatori distratti, i cittadini, i turisti e le scuole, alla fiorente creatività nostrana, che da sempre ci contraddistingue.” I cittadini invece così si esprimono al riguardo: “monumento (mai notato!)”, “Arte? Inguardabile, insignificante”, “Monumento poco visibile e senza spiegazione”. Quando il sole colpisce la Vela, come in certi monumenti egiziani, alcune parti sono illuminate ma… svelando quelle ormai arrugginite. Personalmente non voglio esprimermi, mi chiedo solo: “Perché…?”.
OPERE DAVVERO INCOMPRENSIBILI
Visto che siamo nel triangolo d’oro dell’intellettualpacchiano, dal punto in cui siete ruotate lo sguardo fino a trovare una larga via diritta che termina con un palazzo di fronte e una pompa di benzina a sinistra.
Percorretela tutta (la via naturalmente) e arriverete in una piazzetta: Largo Bompiani e lì, in una aiuola, nella sua sfolgorante bruttezza, ecco mostrarsi il “Monumento ai Valori Futuribili della Resistenza” a firma del Maestro Giulio Tamburrini. Cosa il titolo significhi il solo Cielo lo sa! L’opera rappresenta una sorta di totano rovesciato e interrato i cui tentacoli emergono dal suolo contornando una sorta di ingranaggio o ruota. Nel tempo questo “affare” è stato più volte vandalizzato e restaurato tanto da dover installare una telecamera di sorveglianza. Non so quanto, questa frittura, ci stia costando tra rattoppi e telecamere. Situato a un passo dal mausoleo delle Fosse Ardeatine e dalle catacombe di Santa Domitilla, causa nei turisti una strana reazione: arrivano, vedono il totano, si segnano (non si sa mai…) e si avventurano verso le storiche sepolture e il sacrario. L’unico a rimanerne indifferente è stato il capitano Achab.
Ora, tornate indietro e proseguite per la via Cristoforo Colombo, direzione Circonvallazione Ostiense e imboccatela, superate il Ponte Settimia Spizzichino e girate a destra. Dopo un chilometro circa ecco il Piazzale omonimo che ospita, oltre alla metropolitana, una costruzione in ferro e acciaio dal titolo: “Siamo Tutti Potenziali Bersagli”. E’ dedicata alle vittime del fascismo e di ogni tipo di razzismo.
Cinque sagome rugginose e scolorite incatenate tra loro e riflesse da specchi alle loro spalle che sembrano bersagli di un tiro a segno vogliono rappresentare le vittime dei campi di concentramento nazisti e dei pregiudizi. Ogni sagoma identifica la molteplicità dei martiri con simboli colorati quali un triangolo rosa per gli omosessuali (quale pacchiano stereotipo anche un tantino offensivo), blu per gli immigrati, marrone per gli zingari, rosso per gli oppositori politici, la stella di David per gli Ebrei.
Per ogni colore, e sul gusto che ne ha caratterizzato la scelta, ci sarebbe proprio da ridire, ma tanto… . Le sagome portano sui loro corpi il mirino a croce di un bersaglio. Un lavoro brutto che annoveriamo nel nostro elenco del pacchianesimo.
LA FONTANA PIÙ BRUTTA DI ROMA
Ora… sedetevi, poggiate il bicchiere o la sigaretta perché sta per arrivare quella che è ritenuta la fontana più brutta di Roma. Si trova in Via Ettore Rolli nei pressi di Viale Trastevere, nello slargo dove ogni domenica trovano posto dozzine di bancarelle del mercato di Porta Portese.
I Romani, sapete, con la loro flemma accettano tutto, tranne poi vendicarsi con i soprannomi e questa opera apportatrice di acqua (almeno nelle intenzioni del realizzatore) ora è soprannominata “le catinelle” oppure molto ingloriosamente “i pisciatoi”. Vittorio Sgarbi espresse nei riguardi di questo fontana un giudizio non molto lusinghiero: “Inqualificabile, ridicola, velleitaria. Dio non li perdoni, perché non sanno quello che fanno…” .
Il lavoro fu realizzato in occasione del rifacimento della piazza e costò alla cittadinanza qualcosa come cinque o seicento milioni di lire dell’epoca.
Inaugurata nel 2000 fece ridere a crepapelle tutto il quartiere. La fontana fu disegnata da uno psichiatra: Massimo Fagioli e si vede … è l’onirica visione di un incubo. Per realizzarla ci si mise pure un gruppo di architetti. Consiste in una struttura di bronzo dorato che sorregge quattro semisfere in plexiglass (“le catinelle”) al culmine di un arco; l’acqua fluiva da una semisfera all’altra fino ad essere raccolta in un ovale di marmo. La cosa funzionò per tre settimane.
Siccome le catinelle erano usate da piccioni e gabbiani, presto l’acqua contenuta divenne una sorta di melma verdastra che le occludeva al punto che si dovette forarle. Senza acqua divennero una sorta di canestro dove tutti si esercitavano a tirarci dentro qualcosa.
Oggi sono state tolte lo vedete nella immagine in testa all’articolo. Roma è la città delle fontane, va bene, ma perché costruire ‘st’accidente di coso? Nessuno ha mai capito il significato dell’opera. Speriamo che la demoliscano.
LA POMPA DI BENZINA
Affronto di nuovo e brevemente l’argomento Ara Pacis perché la cosa non mi da “pace”. Il New York Times definì la realizzazione dell’inscatolamento dell’opera storica senza mezzi termini: un “flop”.
Il critico Achille Bonito Oliva, l’apprezzò ma la stessa cosa fece con gli scatoloni della Nuvola di Fuksas a Roma, evidentemente a lui ci piace tutto… . Pure l’architetto capitolino Antonino Saggio ha espresso un parere positivo: “l’apertura di un cantiere nel centro di Roma rappresenta un evento per la città, ormai caratterizzata da interventi temporanei e da una tendenza alla musealizzazione”.
Stando a questa riflessione potevamo erigere una torre di pompaggio, chessò… in mezzo ai Fori Imperiali e sarebbe stata un evento legittimo e auspicabile anche questo.
Voglio deliziarvi con un piccolo confronto: a sinistra in alto la teca originale che conteneva l’Ara Pacis realizzata dall’architetto Vittorio Ballio Morpurgo , quindi la pompa di benzina di Meier sempre a sinistra ma al centro, per arrivare, a sinistra in basso, a una vera pompa di benzina con annessa officina in zona Marconi a Roma.
Per terminare, in alto a destra, il Lungotevere in Augusta come era prima e dopo l’intervento di Meier . Nell’aprile del 2008, Gianni Alemanno, sindaco di Roma, aveva annunciato la sua intenzione di rimuovere “la pompa di benzina”, ma rimase cosa morta.
Peccato, una giusta l’avrebbe imbroccata! Questa la triste storia di alcuni monumenti romani. Vi saluto da un metro e mezzo di distanza.