Pagano e cristiano nell’opera di Cesare Borsa: riflessioni della scrittrice dei Marsi Maria Assunta Oddi
LUCO DEI MARSI – Cesare Borsa, artista di grande e riconosciuto talento, è un figlio prediletto della Marsica di cui racconta, nella magia della trasfigurazione artistica, la storia secolare con infinita dolcezza. Pastori, carrettieri, contadini, venditori ambulanti, artigiani, spigolatrici, braccianti e donne del popolo si fanno metafora di un mondo reale che parla della metafisica di una “Terra Promessa” nella ricerca di una felicità terrena che si fa spirituale.
Solo i “Grandi” riescono a rappresentare la quotidianità facendo trapelare la spiritualità nella luce emanata dai colori.
Come diceva Braque “L’arte è fatta per turbare” con la capacità di rivisitare i luoghi fisici per farne paesi dell’animo. Passare quindi da una descrizione artistica della natura e delle opere dell’uomo ad una descrizione interiore il passo non è lontano.
Le sue splendide maternità affrontano, con un linguaggio pittorico chiaro e pregnante, le contraddizioni di una condizione esistenziale che coinvolge la sfera emotiva dell’osservatore. Se da una parte vede la tenerezza di un bimbo che ricorda il divino “Bambinello” dall’altra mostra la tragicità di un cucciolo d’uomo destinato ad una vita povera e travagliata.
Tuttavia in Borsa come in Silone lo scoramento e la rassegnazione dei “Cafoni” del Fucino è sempre vista nell’ottica della palingenesi del riscatto. La speranza, che non abbandona mai gli umili, si fa atmosfera incantata nei profondi silenzi delle figure rappresentate con statuaria dignità. Del resto il “Vangelo” ha sempre rappresentato la “Buona novella” nel suo profondo significato rivoluzionario.
Borsa offre con la sua arte” L’impareggiabile scultura vivente” della civiltà contadina alfa e omega dell’umanità che lavora a stretto contatto con la terra. Ogni riferimento all’ingiustizia ed all’oppressione di operai e braccianti “senza terra” costretti a subire ricatti dal “padronato”, nell’espressione artistica di Cesare, si veste di segni, forme e cromatismi che si fanno impegno sociale. Ogni immagine ha una finalità etica e morale resa sacra dalla profonda fede nella bontà dell’uomo, nonostante tutto. Un alone soprannaturale circonda le sue opere per fare del contesto antropico un contesto teologico.
Nella sua pittura riferimenti all’arte sacra medievale e rinascimentale sono rivissuti con una sensibilità moderna che permette di rappresentare la pena di esistere insieme all’ansia di riscatto dei contadini del Fucino. Le reminiscenze classicheggianti della sua formazione accademica, rielaborate in modo originale ed inedite, hanno permesso a Cesare di creare uno stile altamente personale e creativo.
Da qui nasce l’idea dei “senza volti” che accomuna in un unico destino la condizione dei “cafoni” come vengono chiamati da Silone.
Volti senza occhi, senza naso, senza bocche, eppure capaci di far trasparire l’animo nel silenzio di una eloquente spiritualità. Borsa ha realizzato in pittura quello che i simbolisti hanno fatto nella letteratura facendo delle parole pennellate di emozioni e situazioni esistenziali che rimandano “All’oltre” e “All’altrove”.
Del tutto inessenziali alla comunicazione i canoni del realismo si sfaldano nella ricerca del gesto essenziale ed ermetico. Come Plutarco, che considerava la poesia una pittura che parla e la pittura una poesia che tace, anche Cesare nei suoi quadri descrive liricamente la tragica condizione del mondo agro-pastorale, superando i connotati realistici in un’esperienza introspettiva.
Come dice C. Collodi nelle Divagazioni: “L’arte vuol essere ispirata da un forte sentimento, nel caso opposto, ella diventa una lettera morta, capace tutt’al più di parlare agli occhi, giammai alla mente e al cuore delle moltitudini”.
Borsa non cerca l’approdo estetico ma tesse, nella condivisione empatica, interazioni conoscitive nell’intento pedagogico di suscitare speranza nella commozione memoriale della “cultura del popolo marso” remota e mai dimenticata, aprendola alla luce. Pertanto nelle sue produzioni il lirismo del gesto pittorico unito alla composizione delle mute parole motiva la nostra presenza dando senso alla terra e al nostro abitare in quella che Luigino Susi chiamò “Arida pianura d’affanni”.
In una prospettiva di penetrazione e sublimazione del concreto, una caratteristica che si coglie in tutte le sue opere, Cesare Borsa, riesce sapientemente a miscelare le immagini e i sentimenti, quali sintesi di una raffinata armonia, con cui richiama l’attenzione del fruitore. Carisma quindi è la sintesi di quello spazio onirico che l’artista evidenzia attraverso l’ideale della bellezza che si fa contemplazione nella spiccata tensione narrativa.
I tratti delicati e le sfumate cromie, diventano parole per narrare quell’universo: quei svariati universi che pulsano emozioni. L’arte di Borsa liberata dal superfluo e dal decorativo si fa sensazione caratterizzata dall’immediatezza comunicativa fino a rappresentare la necessità intrinseca e profonda dell’essere umano di esprimere l’invisibile più che il visibile. Ed ecco nella sua variegata e multiforme produzione artistica vedere rappresentati accanto alle figure di donne, ai paesaggi, alle nature morte e alla vita contadina i soggetti sacri.
Gli ultimi lavori di Cesare, un piatto in ceramica che rappresenta il Patrono d’Abruzzo, San Gabriele, e i 14 dipinti della “Via Crucis” donati al Santuario di Pietraquaria rappresentano una pittura religiosa capace di trasformare il profano in sacro nel nome di un Dio che ama fin dalla sua creazione l’uomo.
Maria Assunta Oddi