Pane artigianale dall’Abruzzo al Bangladesh
Il pane. Il semplice pane. Cibo per tutti. Con significato letterale o metaforico, non importa. È un alimento base e pertanto necessario.
La dimensione spazio-temporale della sua cottura – il forno – è stata per secoli contesto di condivisione intimistico-sociale; le donne si vi trovavano anche per raccontarsi, raccontare gioie e dolori personali e familiari e fare qualche pettegolezzo. Poi, piano piano siamo dai forni comuni a quelli di casa e poi agli esercizi commerciali settoriali come i panifici.
Anche questo segno del passar del tempo e del cambiar delle abitudini. L’Abruzzo non ha fatto eccezione a questo progredire pur conservando, e oggi rivalutando, la preparazione e la diffusione del pane artigianale. Ma, ormai da diversi anni, fa ancora di più.
Circa 20 anni fa la C.N.A.- Confederazione Nazionale Artigiana Abruzzo – si affiancò ad un progetto avviato dalla onlus “Rishilpi” con il sostegno finanziario di Unioncamere, della Provincia di Pescara e della Banca di Ancona. Ci si propose di avviare nel distretto di Satkhira in Bangladesh un programma di formazione per aspirante panificatori; lo scopo ultimo era quelli di rifornire di pane le scuole della zona a fronte delle mille difficoltà che si incontrano in tali territori, non ultima quella della rigidissima divisione in caste. Il progetto venne avviato circa 20 anni fa dall’allora Presidente della CNA Abuzzo Franco Cambi, con il prestigioso intervento di Enzo Centini cioccolataio pasticciere di Bisenti nella Val Fino, provincia di Teramo, che si occupò della formazione recandosi per tre volte in Bangladesh, pertanto forni, impastatrici e altre attrezzature utili alla panificazione, consentendo che alcuni ragazzi si potessero dedicare stabilmente al mestiere di fornaio.
Con il passare del tempo, l’attività è andata evolvendosi; inoltre, poiché il trasporto del pane dai forni ai villaggi era notevolmente costoso, «si è optato per dotare ogni villaggio con scuola di micro-forni: è difficile anche solo immaginare, da qui, quanto sia complessa la gestione di queste attività in un Paese dagli usi del tutto differenti, a cominciare dal tipo di alimentazione per i forni» dice Centini. Cosa c’è ancora oggi di questa esaltante attività? Il convincimento che si può cooperare in modo disinteressato ed efficace; la certezza di aver contribuito a risolvere un problema di sopravvivenza e ancora «un importante lascito professionale: il consolidamento di alcune attività che hanno preso la strada di una produzione di pane e dolci ispirata a nuovi e più avanzati strumenti».