Pianeta Carcere Italia. Intervista dell’Ipa al Comandante di reparto della Casa Circondariale “Rebibbia” di Roma Sarah Brunetti
ROMA – Progettato nel 1960 e con i lavori iniziati 1965, l’istituto penitenziario di Roma Rebibbia, tra i più grandi e importanti d’Europa, apre nel 1971. All’interno si contano 351 stanze singole mentre 319 sono quelle multiple. Il penitenziario romano copre una superficie di 27 ettari, mentre 354.000 mc sono i volumi edificati.
Rebibbia è una piccola città che corrisponde a un’area urbana del V municipio di Roma capitale. Fa parte del quartiere Ponte Mammolo che si trova sulla via Tiburtina prima del Casale di San Basilio nella periferia nord-est della città.
Il nome richiama il casato del cardinale Scipione Rebiba, proprietario di una grande tenuta che costituiva l’attuale quartiere attorno a ponte Mammolo E’ stato costruito secondo il sistema panottico stellare, per cui dal centro è possibile osservare le sezioni detentive e consegnato nel 1972.
L’istituto penitenziario è a forma pressoché quadrangolare con accesso da via Bartolo Longo e dalla via Tiburtina lo stesso che ogni mattina il primo dirigente di Polizia Penitenziaria Sarah Brunetti accede per gestire, coordinare e stare vicina alle donne e agli uomini di polizia penitenziaria che con lei hanno la fortuna di lavorarci.
Noi dell’International Police Association abbiamo avuto la fortuna di intervistarla e, quindi, conoscere questa straordinaria donna che prima di varcare la soglia di Rebibbia ha, in ordine, rivestito il ruolo di comando negli istituti di Alba, Lanciano, Sulmona e Torino.
Salve Dr.ssa Brunetti e grazie per aver accettato l’invito dell’International Police Association. Difficile mondo quello delle carceri e difficile il compito che spetta svolgere all’interno di tale contesto dagli uomini in divisa
“Buongiorno, grazie a lei per il graditissimo invito che mi onora molto. Io sono una Poliziotta Penitenziaria. Il Poliziotto Penitenziario è un professionista al servizio della “ polis” e, dunque, della società tutta. Egli deve garantire che l’esecuzione penale risponda a criteri assoluti di umanità e civiltà.
La Polizia Penitenziaria è l’unico Corpo Nazionale che , oltre alla possibilità di incidere sull’habeas corpus, abbia ricevuto dalla Costituzione un “munus”(come recita il nostro motto) più ampio, un mandato culturale intriso di orgoglio morale.
Al Poliziotto Penitenziario è dato l’ onere di partecipare , anche con l’esempio, al cambiamento della forma mentis di intere generazioni e di incidere sull’evoluzione culturale della società al fine di ridurre la recidiva e, quindi, l’incidenza della violazione della legge penale sulla sicurezza sociale”
La sua identità di Poliziotto penitenziario, come ama definirsi, si colloca all’interno di un contesto familiare che ha investito molto nel campo penitenziario. Come si ritrova nelle vesti di Comandante di uno degli istituti più importanti d’Europa?
Ho lavorato in altri ambienti ed in altra Forza dell’Ordine e sono espressione di una famiglia “penitenziaria”, nella misura in cui ho vissuto l’esempio dei miei genitori (mio padre è stato Provveditore Regionale per la Campania e per la Puglia e prima è stato Direttore di Istituti Penitenziari; mia madre è stata educatore in carcere; mio fratello è Direttore di istituto penitenziario), ma non cambierei nulla della mia storia personale e professionale.
Nascere in una famiglia vocata al lavoro penitenziario, mi ha resa , sin da bambina, parte della “famiglia penitenziaria” ed in particolare mi ha fatto amare l’uniforme che vesto come fosse una seconda pelle. In Istituto mi sento a casa e, probabilmente, rispetto ai colleghi neofiti di ambiente penitenziario, non ho vissuto alcun tipo di difficoltà nel lavorare in Istituti penitenziari ai quali ero già abituata e di cui già conoscevo i rumori e le atmosfere.
L’operatività della Polizia penitenziaria si adatta al mio modo di essere. Ho scelto di fare il Comandante di Istituti Penitenziari poiché, a mio parere, è la più ampia possibilità di crescita umana e professionale che lo Stato , la società e l’Amministrazione, di cui mi onoro di far parte, mi abbiano offerto. Colgo l’occasione per ringraziare la mia Amministrazione per avermi consentito di lavorare negli Istituti Penitenziari a contatto con una umanità ferita.
Quanto c’è di lei e quanto della sua famiglia nella scelta fatta di divenire espressione autentica del mondo penitenziario?
La mia è stata la scelta più desiderata, l’unica per me, anche perché per carattere sono un’operativa. L’uniforme è cucita su di me e, nell’indossarla, mi vesto ogni giorno di orgoglio. Il Corpo della Polizia Penitenziaria, che amo visceralmente, veste , con i suoi 207 anni di gloria ( è uno tra i Corpi più longevi), la mia anima e mi rende fiera.
L’uniforme dà evidenza alla mia onesta fatica quotidiana e rende omaggio al lavoro dei miei familiari. Mio padre, Provveditore, uomo di grande cultura ed onestà , diceva di aver imparato il mestiere dal Comandante ed amava il Corpo di cui apprezzava le eccezionali capacità ed umanità.
A Trani, al tempo del terrorismo, lui che è riportato su alcuni libri di storia con l’appellativo attribuitogli dai terroristi di “Servitore dello Stato”, a fianco del Generale dalla Chiesa, ebbe a rinunciare alla scorta per non esporre gli appartenenti al Corpo al rischio della vita.
Mio padre è stato per me faro umano e professionale e mi ha trasmesso, nel vano tentativo di eguagliarlo, l’amore per il Corpo, per la sapienza e per il coraggio dello stesso.
Mia madre mi ha fatto capire che nel lavoro del poliziotto penitenziario è fondamentale la comunicazione con gli altri operatori, in particolare con quelli del trattamento, poiché tutti partecipano a quello stesso mandato di sacrificio per il bene della società. Io e mio fratello, che è esempio di indiscussa preparazione, ci onoriamo di aver seguito l’esempio genitoriale. I miei figli mi guardano con orgoglio quando mi vedono in uniforme ed interpretano il mio lavoro come una missione di umanità e di coraggio.
Vedere i figli con gli occhi fieri , mi fa tornare ad essere quella bambina che guardava fiera il padre e sognava di vestire l’uniforme dei colleghi del Corpo.
Ci hanno raccontato di vite da lei tratte in salvo tra i detenuti a dimostrazione della delicatezza del ruolo svolto da questa importante componente delle forze di polizia. Esperienze uniche , ce lo può raccontare?
In realtà mi è capitato in due circostanze: una volta sono salita con la scala dell’istituto ; un’altra volta con l’autoscala dei Vigili del Fuoco perché il detenuto era salito troppo in alto. Di queste esperienze vorrei condividere solo la preoccupazione per il rischio di caduta delle due persone detenute ed il desiderio, quale motore di coraggio, di trarle in salvo.
Non vi è chi non veda quale sia, nel nostro lavoro, il pensiero per la sicurezza e la incolumità delle persone .Ogni esperienza di salvataggio e cura della vita umana è preziosa tanto da volerla custodire nel cuore, perché il nostro dovere di “custodia” è da intendersi in primis come protezione della vita e rispetto e riservatezza per le sofferenze altrui.
L’esperienza davvero bella che posso invece condividere , anche al fine di dare meritato lustro non già solo al mio lavoro, ma soprattutto al Personale di Polizia Penitenziaria con cui ho l’onore di lavorare quotidianamente, è stata una esperienza corale con condivisione di sentimenti: la soluzione di una rivolta senza feriti. La condivisione di un intervento operativo e la proiezione reciproca dei diversi sentimenti tra gli attori dell’intervento stesso è un episodio di grande forza.
Nonostante la gravità dell’evento , grazie alla professionalità ed al coraggio del Personale di Polizia Penitenziaria che era con me pronto a sacrificarsi , l’evento critico è stato controllato e superato.
Ho avuto la gioia di vedere la fatica negli occhi di tutti i poliziotti penitenziari del reparto, ma anche il senso di appartenenza allo Stato e la fierezza di essere dei professionisti eccezionali e degli operativi rispettosi delle norme. In quella occasione siamo riusciti a coniugare operatività, strategia, mediazione nell’assoluto rispetto delle norme a garanzia del senso di civiltà che deve permeare il nostro agito nella esecuzione penale, con la certezza, altresì, che dalla civiltà della esecuzione pensale si possa evincere la civiltà di uno Stato.
Esperienze gratificanti e dolorose si mescolano quotidianamente nel mondo difficile delle carceri
Altra importante esperienza è stato un notevole successo riconosciutoci nell’attività di Polizia Giudiziaria nella gestione dei detenuti Alta Sicurezza (appartenenti alla criminalità organizzata). L’esperienza più brutta, invece, è certamente quella della morte: un senso di impotenza ti addolora profondamente.
Povertà, dolore, sofferenza, disagio, morte ti feriscono e ti trafiggono il cuore attraversandoti l’anima. Facendo questo lavoro percepisci la sofferenza degli esseri umani e per comprenderla occorrono grande forza e notevole coraggio. Si lavora, però, con la consapevolezza che queste esperienze di dolore ti rendano migliore. Nella paura e nella sofferenza altrui si ha lo specchio dei propri timori.
Volendola presentare ai più come la descriverebbe l’esperienza del Poliziotto penitenziario italiano?
Direi che è una occasione meravigliosa, intrisa di fatica, ma anche di approfondimento, di analisi, di arricchimento continuo. E’ una professione nobile, sempre diversa, una missione! Un mestiere operativo e sfaccettato: analisi strategica, polizia giudiziaria, condivisione, partecipazione, aiuto, riflessione, umanità.
Un lavoro unico, completo! E’ una professione che consiglio a chiunque abbia voglia di sperimentarsi nel superamento dei propri limiti, preconcetti e pregiudizi con l’onore di farlo rappresentando lo Stato in un ambiente dai delicatissimi equilibri.
Cosa si aspetta per il futuro?
Qualunque dovesse essere il futuro della carriera e, conseguentemente dei professionisti, lavorare per le mete che lo Stato vorrà indicare, con il senso del dovere, con i sentimenti di umiltà ed umanità che contraddistinguono il Corpo, sarà ulteriore dimostrazione di valore perché questo è il Corpo di polizia che, unico, si occupa dell’esecuzione penale e di ogni forma di disagio.
Grazie Dr.ssa Brunetti per il quadro estremamente interessante che ci ha fatto del lavoro del Poliziotto penitenziario
Ringrazio molto per questa preziosa occasione di riflessione e per la possibilità che ho avuto di ricordare mio padre che incontro ogni giorno nei miei ricordi e nei valori che mi ha trasmesso attraverso e grazie a questa straordinaria esperienza lavorativa ed umana.
Il Direttore Editoriale IPA Magazine, Mauro Nardella