“Preghiere e salse”: ritrovate le antiche ricette delle monache conservate in uno scrigno di legno
BASTIA UMBRA – Ci sono le “carote gentili” e i “rosci d’ovo”, la “farina sfiorata”, i “tagliolini con il lasagniolo” e i “morsetti”: parole desuete, lontane dalla modernità, che si ritrovano in ricette di cucina che vanno dalla fine del ‘700 fino alla prima metà del ‘900 in un linguaggio dialettale umbro dell’epoca.
Piatti della tradizione locale che raccontano di come si prepara la “salza per gli umidi” o i “crostini con regagli di pollo”, le “pignolate” e la “pasta grattata”, oppure la “lista per salare le salcicce” e il fritto di patate.
Piatti cucinati con lo spirito dell'”Ora et labora” dalle monache benedettine del monastero Sant’Anna di Bastia Umbra, in provincia di Perugia, che via via nel tempo hanno messo nero su bianco preziosi consigli e riflessioni per i pasti.
Ora queste ricette, circa 200, sono tornate alla luce dopo aver riposato per tanti anni, in uno scrigno di legno, nell’archivio del Monastero insieme ad altri documenti, atti amministrativi, concessioni e diplomi. Una settantina di queste ricette, dopo un lavoro certosino di lettura e trascrizione, sono state raccolte in un libro (“Antiche ricette delle Monache”, Bertoni Editore, 2022), a cura di Monica Falcinelli, ricercatrice di archivio.
Preparare i pasti, oggi come allora, è per le monache un’attività primaria; si cucina ogni giorno per i poveri e per gli ospiti, ha a che vedere con l’accoglienza e la relazione umana. Fra antipasti e primi asciutti, minestre e dolci, salse e rosoli, nelle ricette non ci sono solo indicazioni su come cucinare un certo piatto ma anche pensieri a Gesù o ai santi, preghiere, spesso come intercalare.
Ed allora: “Un requie per chi ha fatto la presente” o “…se occorre qualche altra cosa avrò l’onore di servirla e in pacamento mi farete una comunione”.
Oppure, “E ecco fatto, sia lodato Gesù e Maria Amore” o “Viva sempre Gesù”.
Spiegando la “pasta tignata”, un dolce, la cuoca del caso scrive: “Quando hanno imparato queste gliene impareremo dell’altre. Per adesso basta così, se l’imparano mi diranno una Ave Maria per carità”.
Altra curiosità: in alcuni casi, l’unità di misura per dosare un prodotto, invece che al peso, fa riferimento al costo, e quindi un tanto al baiocco, la moneta dell’epoca: mezzo baiocco di zucchero, ad esempio.
È un volgare curioso la lingua delle ricette, scritte spesso secondo il modo di dire, forse annotate velocemente.
“La loro trascrizione, tutta fedele – dice Falcitelli all’ANSA – non è stata facile.
In alcuni casi abbiamo impiegato dei mesi. Molte sono senza data e molte sembrano trascritte da un’unica mano, infatti si rintraccia un’omogeneità nella calligrafia. Alcune sembrano scritte da monache più acculturate”.
Ora tutte le ricette sono state fotografate e digitalizzate.
Nel libro, i glossari facilitano la lettura.
Come nel glossario delle parole: agro (limone), anase (anice), ingniochi (gnocchi), pagnoltone (grosso impasto, persiche (pesche), petrosello (prezzemolo), torcolone (ciambellone con il buco al centro). E in quello dei verbi: si capano (si puliscono), si gilebbi (si formi uno sciroppo denso), si ministra (si giri), si staccia (setacciare la farina), si cocano (si cuociano).
E delle stoviglie: broccola (pentolone), mattera (madia), somarello (sgomarello), stufaroletta (piccola pentola).
Si ritrovano anche curiosi modi di dire, come “si fa bollire per un Credo”, ossia i tempi di cottura con il tempo necessario per una preghiera. Il libro con le antiche ricette della tradizione monastica è prima di tutto un “segno di grande riconoscenza per chi ci ha preceduto – scrive l’attuale Abbadessa del Monastero Noemi Scarpa – per chi prima di noi ha iniziato a vivere nel servizio, nell’ascolto nell’accoglienza di tutti coloro che vicini e lontani si sono avvicinati alla nostra comunità”.
Un modo anche per raccontare la vita quotidiana e le relazioni, “il tempo scandito dal ritmo delle preghiera e del lavoro”.