Ricercatori dell’Università di Teramo e L’Aquila identificano per la prima volta proteina in spermatozoi umani

TERAMO – È stata identificata per la prima volta da un team di ricercatori dell’Università di Teramo e dell’Università dell’Aquila la presenza della proteina Angiotensin-converting enzyme 2 (ACE2) in spermatozoi umani.

Si tratta di una proteina conosciuta da anni e coinvolta in importantissime funzioni biologiche quali la regolazione della vasocostrizione delle arterie e che si trova sulle cellule dell’epitelio polmonare dove protegge il polmone dai danni causati da infezioni, infiammazioni e stress.

Recentemente è stata portata alla ribalta dalla dimostrazione del suo coinvolgimento nella patogenesi dell’infezione da SARS-CoV-2 (noto come COVID-19), perché si tratta del recettore che permette al virus di legarsi ed entrare nella cellula ospite.

Il team di ricercatori della Facoltà di Bioscienze e Tecnologie Agro-Alimentari ed Ambientali dell’Università di Teramo (Marina Ramal-Sanchez, Costanza Cimini, Angela Taraschi, Luca Valbonetti, Nicola Bernabò e Barbara Barboni) insieme ai colleghi dell’Unità di Andrologia del Dipartimento di Medicina Clinica, Sanità Pubblica, Scienze della Vita e dell’Ambiente dell’Università dell’Aquila (Arcangelo Barbonetti e Chiara Castellini) ha pubblicato proprio in questi giorni sulla prestigiosa rivista International Journal of Molecular Science un articolo dal titolo “ACE2 Receptor and Its Isoform Short-ACE2 Are Expressed on Human Spermatozoa” nel quale è stata descritta la presenza della proteina negli spermatozoi di 40 volontari sani, di un’età compresa tra 24 e 36 anni, che non sono mai stati affetti da SARS-CoV-2.

Si tratta di un risultato “estremamente importante – si legge in una nota – perché lo studio ha permesso di identificare due forme della proteina, quella classica ed una isoforma a più basso peso molecolare.

Quest’ultima, scoperta solo di recente, è espressa negli epiteli respiratori nasali e bronchiali umani e la sua espressione aumenta in risposta al trattamento con interferone (IFN) o dopo infezione da rinovirus, ma non a seguito di contatto con SARS-CoV-2.

In conclusione, lo studio da una parte ha consentito di mettere all’attenzione degli scienziati una nuova macchina molecolare, potenzialmente coinvolta nei processi che portano i gameti maschili ad acquisire la loro capacità fecondante, dall’altra apre nuovi orizzonti nella comprensione delle interazioni tra SARS-CoV-2 e fertilità”.

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