Ricordo del giovane artista Marco Josto Agus. La sua lettera al genio olandese Vincent Van Gogh
AVEZZANO – Avrebbe compiuto oggi 43 anni Marco Josto Agus, giovanissimo e promettente artista, pittore e letterato, scomparso troppo presto diciassette anni or sono.
Per omaggiare questo eterno ragazzo, la sua cultura fine e la sua pittura fresca, contemporanea e d’altri tempi insieme, oggi, anche grazie alla cortese concessione del papà Beniamino, ex ufficiale dell’Esercito Italiano, siamo onorati di pubblicare uno scritto di Marco, una lettera ad uno dei suoi artisti di riferimento, sicuramente fra i suoi maggiori preferiti e apprezzati, una lettera al genio olandese Vincent Van Gogh, intitolata “Critica dell’Impressionismo” (Lettera a Van Gogh dicembre 1995).
«Caro Vincent,
non ho mai amato considerarti un impressionista, ritenendo questa definizione molto riduttiva nei tuoi confronti. Se è vero che grazie agli impressionisti hai schiarito la tua tavolozza rendendola più luminosa e brillante, è pur vero che la loro influenza si limitò nella tua arte al solo aspetto tecnico e non contenutistico. Quando giungesti a Parigi ospite di Theo tu eri un pittore alle prime armi, ti portavi dentro le critiche di Mauve e Weissenbruch (queste ultime senz’altro più costruttive di quelle di tuo cugino) e soprattutto ancora vivo era il ricordo di Sien e dei bambini. Ma ormai non era tempo di rimpianti, la tua strada ormai era segnata, pittore dovevi essere e pittore fosti. A Parigi Theo conosceva tutti i giovani artisti che, muovendosi in direzione opposta all’accademismo imperante, avevano dato vita al cosiddetto “impressionismo”.
Tu eri un pittore di uomini, di interni scuri, avvolti da una luce tetra, la luce dei Mangiatori di Patate e del Tessitore. Eri attaccato alla tua terra, ai contadini, ai minatori, la luce e la mondanità di Parigi furono per te qualcosa di nuovo inspiegabile e all’inizio incomprensibile. In pochi mesi hai assorbito lo spirito impressionistico, ne hai compreso la tecnica, gli effetti di luce, le virgole di colore e i toni più chiari e brillanti. Ma forte era l’attaccamento ai tuoi soggetti, quella vita non faceva per te, ed il vero Van Gogh doveva ancora esplodere, e sarebbe esploso di lì a pochi mesi, ad Arles e ad Auvers Sur-Oise.
Osservando i tuoi dipinti di Parigi si nota evidentemente il tuo tentativo di sintesi e di apprendimento. Ammiravi quei pittori che, senza alcun appoggio economico, esaltavano un’arte “en plein air” , un’arte immediata e nuova. Sognavi per loro una comunità, invitavi Theo a fondarla, ma come sempre accadde nella tua vita, il tuo entusiasmo non era mai contraccambiato. Theo lo capiva e soffriva per te, ma tu, esaltato dal tuo amore e troppo buono per comprendere le sfumature malvagie della personalità di quei pittori, avresti patito, di lì a poco tempo, un’altra cocente delusione. Gauguin ti raggiunse solo quando aveva bisogno di denaro, e lui freddo calcolatore non si lasciò sfuggire l’occasione. Per lui abbellisti la casa, dipingesti i gloriosi girasoli, e per colpa sua e della sua incapacità di instaurare e portare avanti un qualsiasi rapporto d’amicizia vero e sincero, ma solo falso e interessato, per colpa sua, dunque, perdesti l’orecchio.
Approvo la critica del grande critico del grande Odilon Redon all’impressionismo, definito dal pittore come un movimento basato su una pittura limitata al dominio delle sole cose visibili. E proprio questa eccessiva esteriorità, questa analisi poco profonda e poco psicologicamente motivata che mi induce a non considerati un impressionista, ma un pittore non classificabile in nessun movimento pittorico, ma un pittore che in poco più di dieci anni di attività pittorica seppe non solo assorbire l’impressionismo, ma soprattutto trascenderlo, ed aprire confini artistici tutt’ora insuperati.
Fosti il primo a morire del gruppo, ma quello che con la sua pittura andò oltre tutti e tutto. Mi sembra appropriato citare la definizione, per me altamente veritiera e poetica, che di te ha scritto Leymarie [5], autore di una tua ottima monografia “i quadri di Van Gogh parlano a ognuno di noi il linguaggio silenzioso della luce e della fratellanza. Ma se la loro fiamma dovesse spegnersi o se il futuro non lo riconoscerà più come uno dei suoi astri, altri soli sorgeranno nello spazio infinito e stellato che la sua arte ha fatto sorgere e ancora più preziosa della sua opera rimarrà la leggenda unica del pittore che si volle seminatore tra gli uomini e se andò tranquillamente nella gloria delle messi”. Per questi motivi penso che i tuoi periodi di maggior splendore artistico siano quelli dell’Aja e quelli di Arles e di Auvers- sur Oise.
Nelle tue opere parigine sembra di vedere ora quadri di Seurat, ora di Lautrec, ora di Gauguin. Ad Arles i richiami olandesi sono evidentissimi e tanto evidente è anche il superamento dell’impressionismo. I colori tornano ad essere stesi compatti e omogenei, le virgole di colore cedono il posto ai gialli luminosi e accecanti, e le tue tele sono molto più vicine a quelle olandesi che non a quelle parigine.
L’impressionismo fu per te solo una parentesi che influì minimamente nel cuore della tua pittura. Cosi come d’altronde si scrollarono di dosso le ideologie impressionistiche anche altri due grandi pittori Cezanne e Lautrec, che come te seppero attingere dall’impressionismo i colori sgargianti e luminosi, ma che ben presto si allontanarono da esso seguendo strade pittoriche differenti e irraggiungibili per gli altri pittori. Non a caso i tuoi girasoli, i tuoi campi di grano, i tuoi cipressi e i tuoi gloriosi autoritratti nacquero ad Arles e ad Auvers. A Parigi inoltre è meno evidente il tuo attaccamento alla terra, ai contadini, ai campi di grano. La città non faceva per te e solo ad Arles potesti sfogare la tua potenza creativa dipingendo i mari di grano».