Risorsa economica dall’Impero in poi. Disgraziate o potentissime come la mitica “Messalina”. Le prostitute nell’antica Roma
Oggi voglio fare cenno ad un argomento spesso tabù della Roma antica e cioè quello delle “peripatetiche” per chi parla forbito o più chiaramente delle passeggiatici.
Più genericamente, questa categoria di lavoratrici è indicata con l’appellativo di “prostitute” sia che operino all’aperto o al chiuso.
Da sempre la Capitale ha avuto un debole per questo genere professioniste, a tal punto che recentemente sono state contate cinquantadue addette al meretricio in meno di un chilometro. Che ci volete fare? Il romano ama questi svaghi a pagamento.
Nella Roma Imperiale la prostituzione era un’attività fervente e non immorale: si stima che durante questo periodo le donne dedite al mestiere più antico del mondo, regolarmente registrate e soggette al pagamento delle imposte, fossero 31.000.
Sicuramente una cifra inferiore alla realtà. Molte altre esercitavano abusivamente per ingannare il fisco.
La maggior parte erano schiave o liberte, ma anche donne libere ridotte in povertà o nobildonne annoiate. Queste ultime erano chiamate famosae: lo facevano per diversi motivi (non staremo qui ad elencarli) o solamente per il piacere di dare scandalo.
IL SANTO MERETRICIO
Le prostitute a Roma vivevano benino, a volte ricche. Grazie all’enorme flusso di danaro smosso dalla loro attività soprattutto con i pellegrini che venivano piamente a genuflettersi nell’Urbe, nel 1400 e nel 1500, il loro numero era cresciuto a dismisura. L’erario (pecunia non olet) potè, con i loro denari, edificare vie, palazzi e fontane tutt’ora esistenti. Il povero pellegrino che arrivava se la cavava bene: da una parte si toglieva qualche “capriccetto”, dall’altra riceveva l’assoluzione. Fu un raro periodo in cui Stato e Chiesa procedevano all’unisono.
ROMA ANTICA E LA LUSSURIA
I bordelli si chiamavano “lupanari” e se ne trovavano in quantità nella Suburra, dove oggi c’è la fermata Cavour della metropolitana “B”. Avevano una curiosa caratteristica: distribuivano monetine.
Gli Spintria
Per regolare le transazioni fra prostitute e clienti erano usati gli Spintria. Erano gettoni (o più correttamente “tessere erotiche”). Su un lato riportavano un numero, forse il costo della prestazione in “Assi” mentre dall’altro era illustrata la prestazione richiesta dal cliente.
A cosa servivano?
Non costituivano una moneta a corso legale, ma era unicamente utilizzata per richiedere una precisa prestazione. Tenete conto che “il personale” impiegato nei lupanari proveniva da ogni angolo dell’Impero.
Non tutti parlavano il latino e quindi esisteva l’esigenza, da parte del cliente, di spiegare quale attività sessuale desiderasse.
In pratica il romano arrivava al bordello, sceglieva l’operatrice e le consegnava il gettone, poi pagava in Assi, Sesterzi o Denarii.
La divisa delle “lucciole”
Non esistendo media in generale o editoria del settore, nell’epoca imperiale la categoria doveva farsi pubblicamente riconoscere in qualche modo quindi il loro aspetto doveva indicare la loro attività. I capelli erano spesso decolorati, indossavano parrucche elaborate. Il loro trucco era curato, cosa costosa per l’epoca. Si riconoscevano dal rosso tipico dei capelli. Per questo motivo la donna dedita al mercimonio sessuale era chiamata rufa, cioè “rossa”. Tuttavia la capigliatura poteva essere tinta anche d’altro colore: era ricercata la “flava coma” per via del colore biondo che attraeva moltissimo.
Indossavano una corta tunica di velo giallo pallido, senza altro addosso, una sorta di antesignano Nude Look. Una curiosità: sotto le suole dei sandali, era riportata la scritta “akoloythi”, ovvero “seguimi”. Composta da chiodi, camminando, lasciava una profonda orma sul terreno che identificava ulteriormente, qualora ve ne fosse bisogno il mestiere della donna e costituiva un invito. Stando agli studiosi, alcune, mettevano del colore sui chiodi per lasciare una impronta anche sulle pavimentazioni solide, di marmo o mattoni. Non indossavano la stola.
I loro vestiti sebbene molto provocanti erano tollerati. Cosa comprensibile. Romolo e Remo furono adottati da Acca Larenzia, moglie del pastore Faustolo che faceva della prostituzione la sua professione. Era, nella lingua latina, una “lupa”, termine col quale venivano indicate le meretrici (da cui “lupanare”, postribolo). Insomma i fondatori dell’Urbe furono nutriti e cresciuti da una lupa che, però, non era una bestia. Da questa vicenda il simbolo della città Eterna. Lo trovate dissacrante? Eppure… . Mi viene un dubbio: se al tempo del fascismo eravamo tutti “figli della lupa” non è che con questo si volesse indicare che eravamo una massa di figli di… . Scusate, riprendiamo… .
Nuctina e le morte viventi
Questa ve la devo raccontare: le più strane prostitute dell’epoca erano le bustuariae o nucticulae. Cosa facevano? Si vendevano nei cimiteri fingendosi delle morte viventi.
Avevano una pelle bianca, quasi livida e gli occhi spiritati. La più famosa era una certa Nuctina, una figura al limite del leggendario. C’era, poi, Licia nominata anche da Marziale, Giovenale e Catullo. Pare che queste signore di giorno lavorassero come prefiche, ovvero donne pagate per piangere ai funerali e proprio durante la veglia al defunto, approcciavano i clienti. Non di rado, stando al poeta Marziale, era il povero vedovo a desiderare questo genere di prestazione.
Si racconta che Nuctina acchiappasse i suoi clienti, uomini rimasti recentemente vedovi durante i funerali. li portava di notte tra le tombe di un cimitero e lì si dava da fare. Dopo aver concluso la serata a dir poco macabra, arrivava il finale: la prostituta-cadavere tornava a dormire in una tomba. Una volta distesa, l’uomo metteva ben due monete d’oro (una enormità) sugli occhi della donna. Era il tributo per Caronte che l’avrebbe traghettata nell’Aldilà, poi lo sconsolato vedovo se ne tornava a casa riconsolato.
Quanti tipi di “Cocotte” esistevano?
Oltre alle bustuariae di cui sopra, all’epoca le “donnine” erano chiamate con diversi nomi, a seconda del luogo dove esercitavano il mestiere. C’erano le “quadrantarie”, che si concedevano per un quarto di asse e le “copae” che si davano via per un solo bicchiere di vino.
Molte mettevano una lanterna fuori dall’uscio, come segno di distinzione ed erano le libere professioniste, le “free lance”. La “prostibula” si poteva trovare, invece, davanti ad una stalla o a un lupanare di basso bordo. La “tabernaria” adescava nelle taverne, mentre quelle che esercitavano in casa, erano dette “castides”. Le “meretrix” invece lavoravano sempre dopo la merenda. L’antico romano, alle cinque, si fermava, mangiava il suo bravo sfilatino con la frittata e poi, giù, dalla Meretrix per digerire lo spuntino. Come ho fatto cenno, tutte queste signore pagavano le tasse, erano protette dall’esercito e considerate una risorsa importante. Esistevano poi le più ricercate, le cosidette “cortigiane”. Erano le amanti dei potenti e avevano ai loro piedi uomini disposti a tutto pur di accedere alle loro grazie.
LA PROTETTRICE DELLE “DONNE DI VITA”
Ogni 23 aprile le nostre professioniste convergevano in processione al tempio di Venere Ericina. In realtà i templi erano due: uno nel pomerio e l’altro fuori. In questo secondo tempio le peripatetiche portavano alla dea, per onorarla, corone di rose e di mirto. Le chiedevano di restare giovani e belle. Naturalmente tutti i romani se ne stavano lì a godersi la processione, ci mancherebbe!
LICISCA
Ecco una storia che non tutti conoscono bene. Si racconta che Messalina, moglie dell’Imperatore Claudio, amasse travestirsi da prostituta sotto il falso nome di Licisca e si offrisse ai marinai o ai gladiatori per qualche ora al giorno. Insomma era un suo hobby.
Le voci la vogliono mascherata da meretrice mentre si concede persino nella Suburra. Pronipote di Augusto era la terza moglie di Claudio tristemente il più cornuto tra i regnanti di Roma, da cui ebbe due figli. Gli storici le attribuiscono depravazioni orgiastiche di ogni genere e sorta. Un giorno fece il passo più lungo della gamba e finì male… .
Secondo Plinio il Vecchio Messalina sfidò addirittura la più celebre prostituta dell’epoca, riuscendo ad avere rapporti con 25 uomini diversi in 24 ore e proclamata “invicta”. A detta di Giovenale, alla fine della gara, “lassata, viris nondum satiata, recessit” (“stanca, ma non sazia di uomini, smise”).
Se la spassava con la maggior parte dei personaggi in vista di Roma fra cui il governatore Appio Giunio Silano e l’attore Mnestere. Un brutto giorno Messalina si innamorò di Gaio Silio, marito di Giulia Silana. Questi ripudiò la moglie e divenne l’amante ufficiale dell’Imperatrice.
Il passo falso
Nel 48, durante l’assenza dell’Imperatore Claudio che si trovava a Ostia, la donna pensò bene di inscenare il proprio matrimonio con Gaio Silio durante una festa dionisiaca a palazzo. Naturalmente Claudio, saputa la cosa, ne rimase vagamente contrariato e decretò la morte dei due amanti.
Tacito ci racconta la reazione di Nerone quando seppe dell’avvenuta morte della moglie: “A Claudio mentre banchettava fu annunciato che Messalina era morta, senza precisare se di mano propria o altrui. Claudio non fece domande, chiese una coppa e continuò il banchetto come di consueto“.
Ce ne sarebbe da dire sulle cortigiane degli anni a seguire, dal ‘400 al ‘700 ma, forse vi annoierei. Dopo tanti anni molto è mutato; rimane sempre invariato e insostituibile (a quanto pare) il mestiere più antico del mondo. Un saluto da un metro e mezzo di distanza.