Roma. A spasso nel “Cimitero Acattolico” un libro scritto con l’inchiostro della memoria
ROMA – Se siete a Roma e volete vedere qualcosa di diverso, di alternativo ai soliti monumenti, recatevi in Via Caio Cestio. Al civico 6, troverete una entrata gotica: varcatela e… Il tempo si fermerà: vi trovate nel cimitero acattolico di Roma. Qui la morte non opprime né spaventa, semmai induce a riflettere serenamente mentre si passeggia tra cipressi, pini e mirti. Henry James ce lo descrive come: “Una mescolanza di lacrime e sorrisi, di pietre e di fiori, di cipressi in lutto e di cielo luminoso, che ci dà l’impressione di volgere uno sguardo alla morte dal lato più felice della tomba”.. A Roma lo chiamiamo il cimitero degli inglesi, anche se contiene le tombe di molti cristiani ortodossi, ebrei, musulmani e altri non cristiani di tutte le parti del mondo. È uno dei più antichi luoghi di sepoltura in uso continuo in Europa sin dal 1716. Una curiosità: sulle tombe non ci sono fotografie.
Questo posto, una volta era un prato dove ci si andava per divertirsi ed era chiamato “I prati del popolo romano” Nacque come camposanto perché le norme della Chiesa cattolica vietavano di seppellire in terra consacrata i non cattolici: protestanti, ebrei e ortodossi e pure i suicidi che, a causa del loro rifiuto della vita. venivano espulsi dalla comunità cattolica (quanta cattolica, ecumenica comprensione e perdono!). Siccome serviva un posto per erigere il cimitero, le autorità si domandarono: “Dove si divertono i romani?” e li ci fecero ‘sta cosa allegra.
Pare che uno studente di Oxford, tale Langton, morì nel 1738 a 25 anni per una caduta da cavallo. Durante l’agonia trovò il tempo di avere un colloquio con il Papa, al quale chiese di essere sepolto a Roma presso la Piramide Cestia. Effettivamente, quando, nel 1928, fecero degli scavi presso questo acuminato sepolcro, fu ritrovata la tomba di Langton, con la stessa iscrizione che ora è apposta sulla sua lapide
Appena entrati, nella parte bassa, a destra dell’ingresso, è sepolta Luce D’Eramo. Nel suo celebre romanzo “Deviazione“, descrisse gli orrori del campo di concentramento di Dachau . Questo primo, grande, incontro è il benvenuto alla vostra visita.
Poco distante riposano le spoglie del poeta inglese Keats sulla cui lapide fu incisa la celebre frase “Here lies one whose name was writ in water.” (qui giace uno il cui nome fu scritto sull’acqua). Sulla pietra tombale non è scolpito il suo nome e l’epitaffio intero recita: “Questa tomba contiene i resti mortali di un giovane poeta inglese che, sul letto di morte, nell’amarezza del suo cuore, di fronte al potere maligno dei suoi nemici, volle che fossero incise queste parole sulla sua lapide: “Qui giace uno il cui nome fu scritto sull’acqua”. Ci giriamo e…
Appesa ad un muro, una lapide presenta un medaglione contenente il profilo di Keats, accompagnato da un acrostico (un componimento dove le prime lettere di ogni verso, lette per ordine, danno origine ad un nome): “K-eats! if thy cherished name be “writ in water” – E-ach drop has fallen from some mourner’s cheek; – A-sacred tribute; such as heroes seek, – T-hough oft in vain – for dazzling deeds of slaughter – S-leep on! Not honoured less for Epitaph so meek!”, ovvero “Keats! se il tuo caro nome è scritto sull’acqua, Ogni goccia è caduta dal volto di chi ti piange ” ti si stringe il cuore a questa straziante risposta. Salutiamolo riverenti e continuiamo il nostro cammino: c’è ancora molto da vedere .
Di poeta in scienziato si arriva alla Piramide Cestia dove dorme il suo sonno eterno un altro grande poeta: Percy Bysshe Shelley che abbandonò l’esistenza in un naufragio vicino alla Toscana. Anche lui col suo bell’epitaffio preso dalla “Tempesta” di Shakespeare: “Nothing of him that doth fade, but doth suffer a sea change, into something rich and strange” (Niente di lui si dissolve ma subisce una metamorfosi marina per divenire qualcosa di ricco e strano). Faceva prima a citare la Legge di Lavoisier “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Shelley, quasi profeticamente, così descrisse questo cimitero: ”…è il più bello e solenne cimitero che io abbia veduto. Vedere il sole scintillante sull’erba fresca, la rugiada autunnale; udire il mormorio dei venti tra i rami degli alberi… e il suolo che sembra rabbrividire al bacio del sole; contemplare le tombe, la maggior parte di donne e di giovani, fa desiderare di essere quivi sepolti”. Mai desiderio fu esaudito con più celerità. Una piccola curiosità: la moglie, Mary Wollstonecraft Shelley, fu l’autrice del romanzo Frankenstein dove in quanto a morti non si scherza…
Di solito, arrivato qui, mi fermo a riprendere fiato e poi vado a trovare, non per idea politica, ma per rispetto all’uomo, Gramsci (se sapesse come gli hanno ridotto l’Unità!). Sulla sua tomba l’epitaffio in uno stentato latino recita: “Cinera Antonii Gramscii”. Un errore di grammatica latina: in latino «ceneri» si scrive “cineres”. Gramsci, come Gregory Corso e alcuni altri, in questo cimitero, è uno dei miei amici defunti. Si lo so sembro matto ma queste tombe mi fanno riflettere, mi siedo vicino a loro ed è come se mi ricaricassi. Così ogni tanto le vado a trovare come si va a trovare un buon amico. Che vi devo dire? L’età, a volte, può dare in testa…
Vagando con l’occhio tra le statue eccone una che vi parrà di riconoscerne e che: “l’angelo del dolore”. Lo scultore americano William Wetmore Story la realizzò per la moglie Emelyn. William ed Emelyn vissero una vita lunga e appagante nella loro dimora a Palazzo Barberini, circondati da arte e bellezza. I figli stessi seguirono una carriera artistica: Edith Marion divenne scrittrice, Thomas Waldo scultore, Julian Russell pittore. Il loro primo figlio, Joseph, fu il più precoce di tutti: morì a soli sei anni e fu sepolto al Cimitero Acattolico, poco distante dal luogo dove ora riposano William e Emelyn. “Sto facendo un monumento da collocare nel Cimitero Protestante – scriveva William ad un parente – e mi chiedo sempre se lei lo sa e può vederlo. Rappresenta l’Angelo del Dolore, in totale abbandono, affranto su un altare funerario, con le ali ricadenti e il volto nascosto. Rappresenta quello che sento. Rappresenta la prostrazione. Eppure farlo mi dà conforto.”
La statua è diventata un modello copiato in tutto il mondo. Negli Stati Uniti la riprodussero (male) a più non posso. Tra i trapassati immersi nell’eterno letargo troviamo il poeta Dario Bellezza, August von Goethe, figlio di quel Goethe a cui tanto piaceva l’talia e ancora Gualtiero Jacopetti, Antonio Labriola, Belinda Lee, Miriam Mafai, Bruno Pontecorvo (uno dei ragazzi di Via Panisperna che assieme a Fermi imbrigliarono l’energia atomica). Ultimamente si è aggiunto alla triste lista degli ospiti lo scrittore Andrea Camilleri.
Mentre siete preda, durante la visita, di elevati pensieri ecco là una sorta di tubo messo in verticale: è la tomba di James MacDonald il quale nulla aveva a che fare col fast food omonimo ma era un baronetto scozzese rinomato per la sua straordinaria erudizione. Morì di malaria a Roma, o forse a Frascati, all’età di 25 anni. La sua tomba è una delle più antiche del cimitero e fu disegnata dal grande Piranesi, suo caro amico. Il monumento, sobrio, consiste di una antica colonna romana riutilizzata e posta su una base di travertino. La colonna, spezzata, simboleggia la giovane vita recisa. Non è che il Piranesi si spese molto…
Mentre ancora ci guardiamo in giro una campanella, attira la nostra attenzione: è ora di chiusura! Il custode del camposanto la sbatacchia fin quando l’ultimo visitatore se ne è andato e il cimitero ritrova la quiete della sua pace eterna. Vi ho descritto in due diversi articoli il Cimitero Monumentale di Campo Verano a Roma e quello degli acattolici. Li ritengo due grandi opere d’arte in sé stessi e vi invito a visitarli. Un saluto e un arrivederci in un posto più allegro.