San Valentino in Abruzzo Citeriore e il giorno della Processione dei Cornuti: le origini di questo antichissimo rito e la leggenda di San Martino e della sorella… disobbediente
Il mondo è bello perché è vario e in questo il “variare “ i punti di vista su uno stesso argomento spesso indica una grande saggezza.
A Roma si dice, rivolgendosi a una persona il cui partner considera il concetto di fedeltà come un inutile accessorio: “Ahò, ciai più corna te che ‘n cesto de lumache”.
L’allusione è al numeroso quantitativo di escrescenze cheratinose sulla sua testa simili in numero alle cornine presenti in un cesto di gasteropodi terresti (per l’appunto lumache).
Questa esternazione, spesso confina con l’insulto e talvolta conduce ad una reazione alquanto animosa da parte della persona oggetto del “complimento”.
SAN MARTINO E LA SORELLA
Fortunatamente e saggiamente ci sono luoghi in cui sulla cosa si sorride e anzi, la si usa come motivo d’allegria. Questa forma di saggezza trova ricetto nel comune di San Valentino in Abruzzo Citeriore nella “Processione dei cornuti”, manifestazione che si tiene nel centro storico del paese proprio il giorno 10 Novembre.
Le origini della festa sono discusse dagli esperti. Pare, dal punto di vista religioso, sia ispirata a San Martino la cui sorella sembra avesse larghe vedute sulla castità.
Martino, si dice, le fosse morbosamente legato a tal punto da portarla sempre con sé per vigilare sulla sua illibatezza. Secondo alcuni viaggiavano entrambi sullo stesso cavallo, secondo altri la portava “sempre ‘ngojju” (sulle spalle) permettendole di scendere solo per le urgenze corporali.
La cosa, però, non era semplicissima. Per effettuare il “bisognino”, una volta scelto un cespuglio ove celarsi ad occhi indiscreti, bisognava che dallo stesso volasse via un uccello (ad indicare l’assenza di persone). La ragazza, però, si accordò col suo giovane spasimante. Giunti al posto stabilito, la giovane chiese a Martino di scendere. Il ragazzo liberò un uccellino preparato per l’occasione, che fuggì via e i due giovani fecero quel che dovevano (e volevano) fare.
Il Santo si rese conto dell’accaduto solo tempo dopo, quando l’aumentato peso della sorella gli fece sospettare che fosse incinta e che lui era stato tradito. Per questo San Martino fu fregiato del titolo di protettore dei mariti traditi ossia dei “cornuti”. La storia si tramanda tradizionalmente in gran parte dell’Italia, specie in Abruzzo e Lazio. A questo proposito, nella Valle dell’Aniene, presso Rocca Canterano, vige il detto “più sorelle té, più corna porti” (“più sorelle hai, più corna porti“).
L’USANZA
Si racconta che nella seconda metà dell’Ottocento a San Valentino in Abruzzo Citeriore dei giovanotti decisero di burlarsi dei mariti traditi ponendo una candela davanti all’abitazione del cornuto.
Manco a dirlo la cosa divenne una usanza e quando qualcuno uscendo di casa trovava il lumino acceso si rendeva, tragicamente, conto di essere stato tradito dalla consorte. Guarda caso a lasciare quei ricordini luminosi davanti alle porte pare fossero proprio coloro che avevano “giaciuto” con le fedifraghe.
LA PROCESSIONE
Anticamente il rituale della festa prevedeva che l’ultimo uomo sposato dell’anno precedente consegnasse al primo uomo sposatosi di recente un drappo con l’immagine di corna di bue ricamate.
Inutile dire che la processione era motivo di tensione perché i partecipanti, abitualmente, facevano sosta davanti alle case dei presunti “becchi” scherzando e sfottendoli. Qualcuno si adombrava e accadeva il finimondo.
Oggi l’evento è organizzato dalla Congrega dei Cornuti composta rigorosamente da soli uomini, il corteo parte da Largo San Nicola raggiungendo il Duomo. In testa l’ultimo sposato dell’anno precedente, seguito da tutti i maschi del paese, dai più anziani e dai bambini.
Fanno da cornice al tutto i suonatori di organetto, tamburi, campanacci e tante frasi scherzose urlate qua e là dalla folla. Contrariamente alle altre processioni, le sacre reliquie trasportate sono corna di vacca, capra e cervo, peperoncini rossi e stendardi raffiguranti corna.
La reliquia per eccellenza consiste, però, in un grande fallo ricoperto da un velo. Terminata la sfilata, l’ultimo sposato dell’anno precedente consegna la reliquia al più giovane dei mariti di quello in corso.
Finalmente si banchetta e il piatto forte è lo “spezzatino di San Martino” detto anche “alla cornuta”, a base di vitello al sugo. Per dessert le morette, biscotti a forma di “S”. Attenzione: a tutti i partecipanti che lo richiedono è consegnata una sorta di attestazione che certifica l’effettiva partecipazione al corteo.
UN PO’ DI ANTROPOLOGIA
La processione avviene nel momento dell’anno che è chiamato “Capetièmpe”, cioè il capodanno contadino iniziato il 31 ottobre alla vigilia di Ognissanti. L’Undici di Novembre termina il ciclo di 12 giorni dedicato al ricordo dei defunti e al meritato riposo dopo il duro lavoro nei campi. Finisce l’anno agricolo e sta per iniziarne uno nuovo. È tempo di semina prima della prossima primavera. Questo il concetto di tempo circolare, del ciclo cioè di morte e rinascita tipico della antica mentalità contadina, perché quindi non iniziare il nuovo corso con una festa?
E LE CORNA?
Anticamente le corna erano simbolo di fertilità, virilità e abbondanza. Queste protrusioni sono poi collegate alle energie solari e maschili poiché negli animali rappresentano il momento di massima fertilità e capacità riproduttiva.
Nella cultura popolare proteggono dal male grazie alla loro forma appuntita: ricordate il tipico cornetto napoletano o il gesto scaramantico di fare le corna per scacciare jella e malocchio? Non a caso in Abruzzo si dice “do ci sta le corne è segne di bone salute”.
Insomma corna e cornuti o meno, vale la pena partecipare alla processione. Perché? Ma perché è una festa goliardica, perché si svolge sotto la luce dell’allegria e perché fare un po’ di corna scaramantiche per proteggerci da questi tempi infausti è più che doveroso.
Un saluto