Storia di Sisto V, il Frate-Papa che rifece Roma e mandò a morte cinquanta briganti
Lo devo ammettere: se ci fu un papa terribile, di polso fermo, giustizialista ma attaccato a Roma fu Sisto V e nonostante tutto a me sta simpatico. Era una persona a tutto tondo che non te la mandava a dire, al quale ogni tanto saltava la mosca al naso e quando succedeva erano dolori. Ebbe vita difficile proprio per il suo caratterino e anche per il fatto che nell’Inquisizione ci sguazzò dentro per cui non raccoglieva molte simpatie.
Tra l’altro apparteneva pure all’ordine francescano: era un fraticello per cui, agli occhi della curia romana, appariva una figura trascurabile ma se ne accorse dopo diversi anni se lo era o meno. Pure nel nome non fu proprio normale: il padre era un tale Giacomo Piergentile soprannominato “Peretto” soprannome che poi divenne il cognome del futuro papa: Sisto V Peretti . Non finisce qui: negli anni a venire fu noto ai più come Cardinale Montalto dal suo paese di origine o meglio nacque a Grottammare, poi si stabilì a Montalto dove prese i voti e da qui il soprannome. Il suo pontificato non fu dei più lunghi, durò cinque anni, ma in quel periodo mise pesantemente mano all’urbanistica di Roma, così come all’economia e alla repressione del brigantaggio. Come divenne Papa? Ve lo voglio proprio raccontare: In seguito alla morte di Gregorio XIII, avvenuta il 10 aprile 1585, la sera del giorno di Pasqua dello stesso mese, si aprì il conclave. Narra la leggenda che il futuro papa Sisto si presentò in conclave curvo, malandato e sostenuto dalle stampelle affinché si credesse che fosse una persona priva di energia, quindi facilmente malleabile e soprattutto che la sua elezione sarebbe stata di breve durata. Insomma poteva essere un buon Papa di “transizione”. Fu eletto all’unanimità il 24 aprile 1585 all’età di 64 anni e fu incoronato il 1° maggio con il nome di Sisto V, in ricordo di Sisto IV, già membro dell’Ordine francescano. A proposito della sua elezione al Santo Soglio, c’è un episodio del film Signore&Signori buonanotte, a regia di Luigi Magni e con Nino Manfredi quale protagonista, chiaramente ispirato alla sua elezione a Pontefice.
Di lui si disse nell’Urbe che fece costruire cinque strade, cinque ponti, cinque fontane e lasciò un’eredità di cinque milioni di scudi d’oro. Sembra poco? Vi basti pensare che una delle sue opere di arredo urbano fu il posizionamento dell’obelisco vaticano al centro di piazza San Pietro effettuato abbattendo quartieri interi. Ve ne voglio parlare:
Caligola volle che l’attuale obelisco fosse portato da Alessandria d’Egitto e collocato sulla spina del suo Circo. Da lì, secoli dopo, papa Sisto lo fece spostare nella attuale dimora facendo eseguire l’opera dall’architetto Domenico Fontana che ci mise quattro mesi per portare a termine l’operazione. Durante le manovre d’innalzamento dell’obelisco, il papa impose regole strettissime: “sarebbe stato punito con la morte chiunque avesse oltrepassato il limite della zona dei lavori o avesse fatto il più piccolo rumore“. Mentre veniva posizionato l’obelisco, le funi che lo trattenevano iniziarono a surriscaldarsi pericolosamente; nel gran silenzio una voce gridò: “Daghe l’aiga ae corde! ” (espressione ligure per “Acqua alle corde!”). A sventare il pericolo era stato il capitano Benedetto Bresca, marinaio di Sanremo (chi dice di Bordighera), che ben sapeva come le corde di canapa si scaldassero per la frizione degli argani e si accorciavano se bagnate. Bresca fu subito arrestato. Sisto V invece di punirlo lo ricompensò assegnandogli una lauta pensione e il diritto di issare la bandiera pontificia sul suo bastimento oltre al privilegio, per sé e per i suoi discendenti, di fornire le palme alla basilica di San Pietro per la Settimana Santa. La concessione è poi passata alla città di Sanremo che provvede tutt’ora alla fornitura. Bresca viene ricordato nella cittadina ligure con una piazza nel centro storico a lui intitolata e una fontana abbellita da un obelisco.
Tra le realizzazioni volute dal pontefice la costruzione del Quirinale, sede papale e attuale residenza del Presidente della Repubblica. Volle anche porre rimedio alla siccità che travagliava Roma pertanto comprò dai Colonna una sorgente presso Pantano Borghese ed affidò la supervisione dei lavori per un acquedotto che ne trasportasse l’acqua fino a Roma ad una congregazione presieduta dal cardinale Alessandro de’ Medici. In seguito agli errori di progettazione la direzione dell’opera passò all’onnipresente Domenico Fontana, coadiuvato dal fratello maggiore Giovanni, tecnicamente più esperto. L’acquedotto fu chiamato Acqua Felice dal nome di battesimo del papa. Al punto terminale, presso la “via Pia”, a due passi dalla attuale Stazione Termini, il pontefice incaricò ancora una volta Domenico Fontana della costruzione di una grandiosa mostra nota come fontana del Mosè che, nell’intenzione, doveva replicare proprio la statua opera di Michelangelo, questa volta nell’atto di far scaturire l’acqua dalle rocce. La parte scultorea fu realizzata da Prospero Antichi. Il suo Mosè risultò così brutto che il popolino lo soprannominò il “Mosè ridicolo” e che la sua posa solenne e accigliata era data dal fatto di essere stato scolpito da un artista tanto inetto. Si narra che lo scultore, a causa della vergogna provata si sarebbe suicidato
A Sisto V si devono via Merulana, Via Sistina, Via Panisperna, Via di San giovanni e via di San Gregorio nonché la fine dei lavori della Basilica di San Pietro con la realizzazione della Cupola la cui ultima pietra fu collocata nel maggio del1590. Nello stesso mese un Bando pontificio annunciò che “A sua perpetua gloria et a vergogna de’ suoi precedessori, il nostro Santo Papa Sisto V ha terminato il voltamento della cupola di S.Pietro“. Sempre a lui si deve il rifacimento della Basilica di San Paolo Fuori le Mura, la Cappella Sistina, i palazzi del Laterano e quello della “Scala Santa” oltre a una miriade di restauri, ricostruzioni ed edificazioni di monumenti ed opere pubbliche. Dovettero fermarlo perchè nella sua foga urbanistica e edificatrice voleva distruggere la tomba di Cecilia Metella cosa alla quale si oppose il popolo romano e trasformare il Colosseo in officine e abitazioni. Gli obelischi erano il suo pallino: oltre a quello in Piazza San Pietro fece erigere quello davanti a S.Maria Maggiore, quello presso San Giovanni in Laterano e quello al centro di piazza del Popolo. Peccato che all’epoca non ci fosse la metropolitana: oggi i romani ne avrebbero finalmente una estesa ed efficiente!
Il Nostro era un papa di rottura, crudele quando si trattava di far rispettare le sue volontà ma anche umano: abolì le disposizioni contro gli ebrei (cosa inusitata all’epoca) ritenute troppo punitive. Consentì loro di abitare nelle città e nei centri maggiori togliendo l’obbligo di risiedere nel ghetto, permise nuovamente l’esercizio del commercio e abolì l’uso della rotella di stoffa gialla cucita sull’abito nella parte sinistra del petto come contrassegno e consentì ai medici ebrei di curare i cristiani. A onor del vero tutti i maschi ebrei furono obbligati a presenziare al sermone 6 volte l’anno e fu imposta loro la “cazaga”, una tassa che dava diritto di residenza. Per il suo carattere forte e autoritario fu soprannominato dai romani: “Er Papa tosto”.
Il brigantaggio proprio non gli andava giù ed emanò una costituzione contro la nobiltà e le comunità protettrici dei fuorilegge, che vietava ai baroni di accogliere i banditi, mentre faceva loro obbligo di perseguirli attivamente. Pensate che Tra il 1585 ed il 1590 furono celebrati davanti al tribunale del Governatore di Roma quarantanove processi contro i banditi ed i loro fautori tutti finiti a colpi di mannaia. A proposito della sua lotta al brigantaggio ecco un aneddoto. Il Colosseo, in quei tempi era l’inespugnabile luogo di ritrovo dei briganti. Papa Sisto si travestì da viandante e si presentò di notte con una grossa fiasca di vino che era stato precedentemente drogato proprio al Colosseo, chiedendo ai banditi ospitalità ed offrendo loro la bevanda nella fiasca. Inutile dire che questi ne tracannarono tutto il contenuto e caddero addormentati. Ad un suo cenno le guardie, che erano appostate nei paraggi, catturarono tutti. All’alba i banditi penzolavano dalle forche. Credeva poco ai miracoli: in città si sparse la voce che presso la basilica di Santa Maria Maggiore (luogo di culto a lui particolarmente caro) avevano portato un crocifisso in legno che sanguinava. Come poteva Sisto V resistere? Arrivato sul posto e data una occhiata al miracoloso reperto diede di piglio a un’ ascia esclamando: “Come Cristo ti adoro, come legno ti spacco“. Distrutta la statua, all’interno si scoprì una spugna imbevuta di sangue e una corda che, tirata, la strizzava. Naturalmente Il proprietario fu giustiziato sul posto. Da allora fu coniato il detto: “Papa Sisto, che non perdonò manco Gesù Cristo!”.
Durante il suo pontificato fece divieto di portare armi. Capitò che a Ranuccio Farnese figlio del Duca di Parma, nell’inginocchiarsi al suo cospetto cadde una pistola. Il Papa lo fece arrestare e stabilì per la notte stessa l’esecuzione del giovane nobile. Il cardinale Farnese, zio dello sciagurato ragazzo, con l’aiuto di alcuni amici, fece in modo che nel palazzo papale non suonassero gli orologi, poi mise un ora avanti quello dello studio del pontefice e si recò da lui implorando la grazia per il nipote. Quando Sisto V udì battere i rintocchi dell’orologio manomesso, credendo che la sentenza fosse stata già eseguita graziò il malcapitato, atto di grazia immediatamente recapitato al carnefice. Quando seppe della beffa giocatagli, il pontefice esclamò:” Un prete ha gabbato un frate!”. La cosa non terminò lì. Tempo dopo vantandosi il cardinale Farnese del tiro giocato al papa, terminato il concistoro, davanti a tutti i prelati, fu chiamato da Sua Eminenza che lo fece non solo inginocchiare ma anche recitare il pater, l’ave e il credo aggiungendo: “Questa è penitenza da frate; se non tacete un’altra volta ve la daremo da Papa” umiliando, così, il cardinale davanti a tutti.
Tra gli obiettivi di Papa Sisto c’era quello della riscossione dei tributi. Suo costante impegno fu quello di accrescere le riserve, ritenute indispensabili per far fronte alle emergenze e rendere possibile l’incremento delle arti e delle scienze, nonché un grande sviluppo edilizio di Roma e provincia. Incrementò le casse dell’erario con la vendita di Uffici, la fondazione di nuovi “Monti dei Pegni” e l’imposizione di nuove tasse. Sua Santità non si fidava dei funzionari locali addetti alla riscossione e reclutò come esattori alcuni suoi fidati compaesani marchigiani. Da allora, a Roma, vige il detto: “mejo ‘n morto in casa, cche ‘n marchiciano fori da’ porta“. Fece di tutto per moralizzare la vita pubblica ma contro una cosa dovette cedere le armi: la prostituzione. Nel maggio 1585 proibì alle prostitute di risiedere in Borgo e successivamente cercò di confinarle nell’Ortaccio, nei pressi del porto di Ripetta ma non ci fu niente da fare: Il tentativo fallì ed il papa dovette accontentarsi di proibire alle meretrici l’accesso alle strade principali della città, le uscite in carrozza e le uscite di casa dopo il tramonto. Morì all’età di 68 anni il 27 agosto 1590 nel palazzo del Quirinale, colpito da febbri malariche. La notte seguente la sua salma fu traslata in San Pietro per essere provvisoriamente inumata nella cappella di Sant’Andrea. Il suo cuore venne deposto nella chiesa dei Ss.Vincenzo ed Anastasio, situata a poca distanza dal palazzo del Quirinale, inaugurando un’abitudine continuata fino a Leone XIII. L’anno seguente il cardinale Alessandro Montalto (nipote di Sisto V) fece seppellire i resti dello zio nel sepolcro che si era fatto preparare nella basilica di Santa Maria Maggiore. A Roma ci si riferisce a lui con l’appellativo di Papa Sisto ed è una leggenda. Un saluto da un metro e mezzo