Storia, riflettuta, su Juan Carrito, l’orso simbolo d’Abruzzo investito e ucciso per strada. Ecco perché questi plantigradi sono preziosi
C’era una volta un orso…
Non sto qui a narrarvi la storia di Yogi, il cartoon dove il protagonista è l’unico esemplare di grizzly babbeo al mondo. Il nostro orso, anzi orsetto sebbene di stazza più che abbondante, non rubava i cestini dei pic nic ai campeggiatori e neppure aggrediva le persone. Voglio narrarvi una storia che ha per protagonista un orso si, ma vero. Mi riferisco a Ganimede, alias M20 o meglio conosciuto come Juan Carrito.
JUAN CARRITO
Come nelle famiglie umane, in quella di Amarena, una femmina di orso marsicano, la prole era formata da cuccioli ognuno col proprio carattere. Il nostro Juan Carrito (così lo hanno chiamato in Abruzzo), tra i quattro fratelli, era lo scapestratello di casa.
Il giovane Juan era (perché non c’è più e poi ne vedremo i motivi) un animale serioso che non cercava elemosine. Se aveva fame il cibo se lo procurava dove poteva qua e là per il sottobosco. Un giorno (non si sa cosa passa per la testa di un plantigrado) decise di fare una passeggiata giù in paese. Era curioso perchè da quei grossi scatoloni con le ruote vicino alle case veniva un profumino che stuzzicava l’appetito. Così, col rischio di buscarsi una schioppettata, scese a valle. I cassonetti, così si chiamavano quelle scatole, erano, per lui, pieni di cose buone lasciate incustodite e se ne serviva a piene zampe.
Arrivava quatto quatto e giù a rimestare tra i rimasugli. Alla fine gli abitanti dei paesi dove si recava a far colazione si accorsero che non era poi così pericoloso. Iniziarono a sorridere quando lo vedevano, seppur rimanendo un po’ allarmati. D’altro canto un orsacchiotto di un quintale e mezzo che vaga per le strade un po’ di apprensione la desta. Un cassonetto oggi, una gallina domani, era diventato una specie di temuta mascotte.
LE SCARAMUCCE DI JUAN
Un giorno te lo vedevi alla stazione di Roccaraso a passeggio lungo i binari, un altro te lo ritrovavi a giocare con un cane a pochi passi dalla padrona, un altro ancora a svaligiare pasticcerie. Perfino Niko Romito, chef pluristellato, ha avuto a che fare con lui. L’orso aveva preso l’abitudine di ramazzare un po’ di cibo a due passi dal suo ristorante e chiamalo scemo! Una volta lo chef abruzzese postò su Istagram pure la foto di Juan accanto alla sua raffinata trattoria dichiarandosi “onorato” per la visita del giovane animale.
Gli orsi amano circolare al crepuscolo e di notte, quindi, spesso, alla sera, te lo ritrovavi in paese, incurante degli umani che ormai riteneva amici. S’arrampicava sugli alberi e se ne andava per le vie imperterrito e ignaro del regolamento stradale. Il suo raggio d’azione era da Bisegna fino al Parco Nazionale d’Abruzzo e dintorni. Probabilmente il nostro amico aveva compreso che rimediare cibo tra gli uomini era più semplice che andarlo a scovare sulle montagne. Siccome per camminare, camminava tanto, altrettanto doveva mangiare per riempire lo stomaco.
IL CONFINO DELL’ORSO
Le scorribande, però, non potevano continuare all’infinito. Quelli che parlano bene indicano col nome di “abituazione”, quando un animale impara a servirsi delle cose degli uomini pensando che non ci siano problemi. Pensieri da orso che si scontrano con le paure dei cittadini. In realtà riportarlo indietro, nel suo habitat, significa anche proteggerlo. Un orso è sempre un orso e seppure simpatico e amichevole è meglio che se ne stia sulle sue montagne. Qualcuno con la doppietta lo si trova sempre e son dolori. Così le guardie forestali si impegnarono in una caccia serrata che lo ricondusse al suo metaforico “ovile”.
Pensandoci bene quel che combinava Juan era poca cosa, lo avessimo a Roma da dove scrivo… . Qui altra specie invade la Capitale e sono i cinghiali. Ne abbiamo da esportarli; ormai hanno quasi raggiunto il centro storico e manco sono in via d’estinzione. Il loro numero aumenta e al contrario dell’animale marsicano non sono schivi o timorosi: se gli viene l’uzzolo aggrediscono i passanti. Ecco, nell’Urbe avremmo piacere d’avere orsi marsicani e mandare nei parchi abruzzesi i nostri cinghialotti. Purtroppo non è possibile e la chitarra del sindaco quirite, della quale sembra essere un “virtuoso”, pare, attirarli a frotte quale rinnovato emulo del Pifferaio Magico.
LA FINE DELL’ ORSO
Un giorno Juan Carrito, attraversava la statale 17 all’altezza di Castel di Sangro. Una auto lo investì. Il povero orsacchiotto rimasto a bordo strada con una zampa rotta e ferito in più parti muoveva solamente la testa. Chissà cosa pensava (se pensava) in quel momento. Aveva tre anni ed era stato appena svezzato.
Una distrazione
Quando si parla di cucciolo si immagina un animaletto grosso come un leprotto, un cagnolino o un coniglio, insomma esserini facili da mettere sotto, vuoi per la velocità dell’auto e vuoi a causa d’una distrazione. Juan, però, stazzava più di centocinquanta chili, era mica una cosa da ridere. Poteva non essere visto un bestione del genere? Non so ma riflettendoci su, per fare un cotal disastro nell’investire una bestiolina di quella mole ce ne voleva… .
È pur vero che lungo la strada non c’era nemmeno un cartello che esortasse a ridurre la velocità e fare attenzione agli animali. Se nella nostra bella Penisola non metti segnali stradali che vietano qualcosa, nessuno presta attenzione a niente fosse anche il pericolo di cadere nel nocciolo di una centrale atomica. Per la cronaca il conducente dell’auto, sebbene illeso, è rimasto, purtroppo, traumatizzato ed comprensibile: non accade tutti i giorni di correre per strada e distrattamente triturare un orso marsicano grosso come un armadio.
ORSO PREZIOSO
L’Orso Bruno Marsicano è tra le 15 specie animali del pianeta a rischio estinzione. Oggi ne restano solo 50 esemplari, anzi 49 perché il Nostro non c’è più.
Mamma orsa se la piglia comoda: si riproduce ogni 4 anni, e partorisce uno o al massimo due cuccioli. La gestazione dura poco: sei mesi, in compenso ci mette tre anni per svezzare la prole. Ecco perchè il numero dei componenti la specie si assottiglia e ne son rimasti pochi.
La Regione, per proteggere i Teddy Bear marsicani ha posto, tra San Sebastiano, Bisegna, Pescasseroli, Gioia Vecchio e sulle altre strade d’accesso al Parco d’Abruzzo, Lazio e Molise dei cartelli di color arancione. Riportano la scritta “La velocità uccide gli orsi e voi stessi “Rallentare”. Non sono presenti, però, proprio ovunque, come s’è visto.
SPECIE OMBRELLO, CRITICA E BANDIERA
Strani concetti se riferiti a un orso ma sono tra le basi della sua importanza per l’uomo. Purtroppo la dabbenaggine di tante persone non riesce a comprenderlo. La morte di un orso, a detta dei sempliciotti, non riveste tanta importanza quanto quella di una vita umana. Eppure contribuisce, con la sua presenza, proprio al nostro benessere. Rappresentano, infatti, un indicatore positivo della salute dell’ambiente: se c’è lui l’ambiente è salubre. Per questo motivo i plantigradi marsicani sono considerati una specie ombrello. Avendo la necessità di muoversi in ampi spazi non inquinati, la sua conservazione diviene tutela della nostra salute. Quale specie “critica”, invece, sono fondamentali per il mantenimento dell’ecosistema: via lui spariscono, a cascata, altre categorie di animali.
Ad essere un po’ profittatori, infine, possiamo considerarli una specie “bandiera” perché riescono a coagulare attorno a loro l’attenzione del pubblico. Per spiegare meglio a chi ha la “Cocc’ d’ mannereune“, l’orso è una grande attrattiva per i turisti e dove ci sono loro c’è lavoro. Dove arrivano visitatori si tende a mantenere in ordine il posto e questo contribuisce al benessere generale.
TERMINO QUI
Nel caso di Juan Carrito, questi, pur mantenendo la sua regale animalità ursina, sembrava essere diventato un cittadino, anzi il simbolo d’Abruzzo. In tutte le sue scorribande alla ricerca di cibo, aveva sempre dimostrato una grande “confidenza” con gli uomini e con le loro cose. Si sentiva quasi umano e tentò l’amicizia con gli umani che erano, però, del tutto animali. Ciao Juan!