Tempo di Halloween? In Abruzzo sono i giorni del “Capetiémpe” dove tutto finisce e ricomincia
Come tutti sappiamo, la festa di Halloween è una tradizione d’Oltreoceano in parte rubata al Vecchio Continente. Gli americani ne vanno pazzi e fieri, d’altronde quelli hanno solo un paio di commemorazioni a base di tacchini e mortaretti e una a base di cocuzze col moccolotto dentro e se la tengono stretta.
Laggiù, durante la festa, i bambini bussano, vestiti da fantasmini o mostriciattoli, alla porta delle villette americane chiedendo “dolcetto o scherzetto?”.
HALLOWEEN E L’ABRUZZO
Tornando a noi, persino il Vate d’Italia si scomodò per ognissanti:
Su le tegole brune riposano enormi
zucche gialle e verdastre, sembianti a de’ cranii spelati,
e sbadiglian da qualche fessura uno stupido riso
a ’l meriggio.
Gabriele D’Annunzio – Ottobrata (Versi d’amore e di gloria, Mondadori Meridiani, Milano 2004)
CAPETIEMPE
Altro che Halloween. Nella forte terra d’Abruzzo questo è il periodo di “Capetiempe”.
Si tratta di una tradizione popolare quasi dimenticata se non sconosciuta a molti e descritta dallo studioso Vittorio Monaco nel libro intitolato, per l’appunto, “Capetiempe” e che fornisce una spiegazione ai riti abruzzesi di fine ottobre e inizio novembre.
Il momento più suggestivo dell’anno, per l’immaginario popolare d’una volta, in cui vita e morte si abbracciano è quello che va dal 31 ottobre, vigilia di Ognissanti, all’11 novembre. Questo periodo cade dopo la conclusione dell’anno agricolo e l’inizio del nuovo. È un po’ come fosse una sorta di capodanno dove tutto termina per ricominciare e rappresenta una zona franca dove quasi si ferma il tempo. Il mondo terreno e quello d’oltretomba entrano in contatto. Anticamente era giunto il momento del culto legato al ricordo e al ritorno dei morti.
Perché? I contadini propiziavano attraverso i riti funebri, di purificazione e fertilità, solari (come ad esempio le fiaccole) il ritorno della luce, il rinnovo del ciclo della vita.
Nella cultura contadina e popolare il tempo è circolare. Il suo ritmo è scandito dall’alternarsi delle stagioni. Il seme diventa frutto, poi la pianta appassisce e gela durante l’inverno, il nuovo seme germoglia e la vita riprende, ritorna e ricomincia nel concetto di “circolarità”. In questo ecco Capetiempe dove la paura più grande dell’uomo, quella della morte, può essere vinta perché ad una fine si alterna un inizio.
Non male vero? Pensavate che le feste abruzzesi di Ognissanti fossero la fotocopia di quelle più commerciali d’Oltreoceano? Ma anche no, qui le tradizioni sono una cosa seria.
OGNISSANTI IN ABRUZZO
Considerando il numero elevato delle celebrazioni per la festa di Ognissanti, farò cenno solo ad alcune per poi regalarvi un elenchetto dei comuni che usano seguire la tradizione delle loro parti alle volte vogliate togliervi la curiosità di andare a vedere.
PESCARA
Ad Ognissanti, nel comune di Serramonacesca i giovanetti indossano zucche intagliate a forma di testa, che non rappresentano il Jack O’ Lantern della leggenda anglosassone ma più prosaicamente le “Cocce de morte”. Anche questi bambini, come quelli americani bussano alle case in cerca di dolciumi. A chi domanda, al di là dell’uscio “Chi è? Rispondono con quella che pare una bestemmia ma che, ovviamente, tale non è: “L’aneme de le Morte”.
Spoltore ripropone la “La Tavola dei Morti”. I defunti pare tornino nelle loro case proprio la notte di Ognissanti. Per le vie del paese si vaga illuminando il cammino con la luce delle candele. Ogni volta che la gente si ferma racconta una storia. La tradizione crea, però, un problema: tanti tirano via di corsa o perché son muti o non gli va di parlare. A casa non ci possono tornare per via dei morti che son tornati e quindi che fanno? Ed ecco che, in loro soccorso, alla fine della serata è offerto “il grano dei morti”: una pietanza a base di grano bollito con noci, melograno e mosto cotto, fave lesse, ceci abbrustoliti, zucca e patate con vino rosso. Che poi bevuto il vino i morti li vedono davvero!
L’AQUILA
A Pettorano sul Gizio i bimbi si dipingono il viso con cenere e farina e cantano di casa in casa “la canzone dei questuandi”: “Ogg’ é la fèste di tutte le sande : Facéte bbén’ a ‘st’ aneme penande. Ogg’ é la fèste de li sande ‘n gj’iele; Facète bbén’ a ‘st’ angele Grabbijéle. Se vvoi bbéne de core me le facéte, ‘n quell’aldre monde le retrovaréte“. Che poi è una sorta di ricatto: “se non mi tratti bene fai una brutta fine nell’al di là”. In cambio di questa faccenda ricevono cibo e ospitalità. La cosa è molto gradita ai loro genitori che se ne possono stare finalmente soli in casa per una volta avendo ammollato la propria prole agli altri: pare sia il momento dell’anno più prolifico da quelle parti.
Sembra che a Roccaraso i morti lascino i luoghi in cui penano e tornano a casa dove rimangono, niente meno, fino all’Epifania. Occhio alla catena del camino: non deve oscillare altrimenti si svegliano i defunti che dormono in casa. Che poi se i trapassati devono tornare alle loro case per dormire che ci vanno a fare?
SULMONA
Durante la festa di Ognissanti, la città dei confetti, segue una “rossa processione” fino al cimitero. Dopo la messa celebrata in loco una bella bevuta. Nel filmato, se ci fate caso, la banda esegue “La canzone del Piave” di E. A. Mario. Per chi lo volesse sapere l’autore era un impiegato delle poste. Scrisse la canzone su un modulo di servizio, curiosità nella curiosità fu l’autore anche della celeberrima “Tammurriata nera“. Nacque a Napoli e sapete dove? A Vico Tutti i Santi guarda la combinazione. Tornando a Chieti, in questo periodo i giovincelli se ne vanno in giro a scarabocchiare di bianco le porte delle case con della calce sciolta in acqua. Vi chiederete cosa centra con i morti? Presto detto. Il padrone di casa, quando usciva, vedendo la porta imbrattata borbottava contrariato: “Te pozzene bbacià refriddo”.
OGNISSANTI E I CHIETINI
Chieti, nell’occasione, mette pane acqua sul tavolo, vicino ad un lume. Sarà donato ai poveri al mattino successivo. Chi vuole vedere i defunti, invece, deve andare in un crocicchio, e poggiare il mento nell’incavo di una forca a due rebbi. Lo fece Robert Johnson sulla Route 66 in America (senza forca) e incontrò il diavolo che lo fece diventare un grande chitarrista. Non so se a Chieti accada la stessa cosa: provateci.
A Ortona guai a lasciare la camicia sulla sedia. Qualche morto sepolto senza i riti del caso potrebbe vendicarsi rovinandola.
Ognissanti complicato
La faccenda si complica a Fara Filiorum Petri. Qualora voleste vedere i morti in processione, dovete mettere sulla testa un contenitore con dell’acqua santa dentro, il mento sopra la solita forca a due punte e contemporaneamente tenere in mano un gatto. In alternativa basta guardare in un bacile d’acqua messo sulla finestra con un lume accanto. Badate bene, una volta messa in testa la bacinella, posto il mento sul forcone e tenuto un gatto in mano arrivano gli infermieri e vi portano via. Dimenticavo… sulla finestra bisogna pure mettere un piatto di minestra perché i morti si rifocillano durante la processione.
Pare che bacinella e forca piacciano anche a Perano. Le vecchiette peranesi mettevano due candele accese su un tavolinetto, il solito bacile d’acqua e la forca sotto al mento: il tutto allo scopo di vedere i defunti comparire nell’acqua. Che poi se li vedevano davvero, dallo spavento s’inforcavano diventando esse stesse, poi, visibili nella bacinella.
Altre usanze strane
Non finisce qui perché ad Altino, Atessa, Casalbordino, Fara San Martino e nella stessa Perano, non si può toccare la catena del camino. Sapete perché? Scuoterebbe la testa dei morti disturbandoli nella loro quiete.
Insomma dalle parti di Chieti pare che tutto sia un po’ difficile e strano. Sentite questa: a Lanciano gli sposi il giorno dei morti regalano alle spose la pizza con le sardelle e tutti a casa della fortunata donna se la mangiano. Due domande sorgono spontanee: ma chi è che si sposa il giorno dei morti? Che c’entra la pizza con le sardelle?
Simpatico quello che accade a Schiavi d’Abruzzo. I bambini, con l’aiuto delle mamme, costruiscono “Le casette degli Angeli”: Sono piccoline e al loro interno è posto un piccolo lume. Una volta benedette, le casette sono poste sulla scalinata centrale del paese.
LA PANTAFICA
Siccome non si può mai star tranquilli, oltre ai trapassati, ci si mette pure la “Pandafeche”. È una donna dagli occhi demoniaci con il muso a punta e tutta vestita di bianco. Si materializza nel letto d’un malcapitato disturbandone il sonno bloccandogli la bocca e paralizzandolo. Cosa poi ci combini col tizio chi lo sa.
La nostra apparizione, tra l’altro, ha la brutta abitudine di urinare nei letti o sulla testa delle sue vittime… . Un avvertimento: se la Pantafica fa la “plin plin” sulla vostra testa, potreste essere trasformati in un animale! Siamo sinceri: se ci si sveglia con la testa bagnata di pipì, qualcuno, eccetto voi, deve averla pur fatta lì. Che diavolo avete combinato, la notte, brutti mascalzoncelli? Scherzavo naturalmente.
Termino con un suggerimento: onde evitare le sue spiacevoli apparizioni lasciate un po’ di vino da bere: alla strega piace assai. Dietro alla porta di casa, inoltre, mettete una scopa di saggina rovesciata oppure una bella treccia d’aglio che tiene lontani pure i vampiri se ce ne fossero in zona.
La Pantafica, in realtà si chiama OSAS (Obstructive Sleep Apnoea Syndrome ovvero Sindrome delle Apnee Ostruttive del Sonno (OSAS) e tra l’altro comporta l’enuresi notturna.
CONCLUDENDO
In conclusione pare che Abruzzo e defunti abbiano una sorta di convivenza stretta tanto che questi hanno l’abitudine di tornare alla loro ex residenza nella notte di Ognissanti. Se vi siete liberati di qualche parente fastidioso state di buon animo perché rieccovelo ogni anno in casa. Pare che i morti locali mangino pure per cui bisogna provvedere anche a sfamarli. Dove tornano i trapassati dopo il terremoto del 1915 non è dato saperlo. Il nostro Halloween abruzzese termina qui. Bella e commovente la tradizione che unisce le famiglie ai propri trapassati che tornano a casa. Molto più prosaicamente vi raccomando, consentitemi, di badare al vino. Se è buono (cosa di cui non dubito) non mandatelo giù tutto: bevetene un po’ e un po’ portatevelo a casa (a piedi), ma soprattutto godetevi la festa. Un saluto a tutti.