Teofilo Patini, l’uomo che denunciò su tela delle crude realtà
CASTEL DI SANGRO – La pittura, come il tocco di un pensiero penetrante, sussurra al cuore le tinte della vita e, incentrandone talvolta delle figurazioni di carattere sociale, ne connota delle realtà che lasciano spazio all’approfondimento psicologico.
Il maestro Teofilo Patini, nato a Castel di Sangro il 5 maggio del 1840 e deceduto a Napoli il 16 novembre del 1906, con spiccata dedizione per l’arte, intraprese dei corsi di pittura di elevata formazione professionale, perfezionando sempre più le sue doti artistiche e delineando, inconsapevolmente, la sua esistenza con lodevoli riconoscimenti.
I suoi quadri, ritraenti le civiltà contadine abruzzesi di fine Ottocento e dei primi del Novecento, mettono in risalto una condizione di disagio economico e sottolineano le dure mansioni della popolazione che, con sacrificio, portavano avanti.
In visione l’analisi dei dipinti ubicati al Palazzo del governo a L’Aquila, al Ministero dell’Agricoltura a Roma e alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea a Roma
“Bestie da soma” è un dipinto del 1886, realizzato ad olio su tela, la cui cruda realtà descrive ai nostri occhi lo strazio delle donne condannate alla fatica.
Incorniciate in un paesaggio montano tre donne protagoniste, possiamo analizzarne le vesti della fanciulla posta al centro che, sfoggiando umilmente un abito dalla tendenza elegante, identifica la tradizione castellana in un contesto di festa.
Mentre le altre due compagne, incentrando un abbigliamento dallo stile differente e al contempo, per ambedue, di similare rappresentazione, lasciano ipotizzare la loro origine riconducibile al paese di Rocca Pia.
Le prime due figuranti, sdraiate sul terreno breccioso, servendosi dei fasci di legna, sostengono le loro schiene ormai esauste, tuttavia, anche la donna in piedi e in evidente stato di gravidanza, cerca di riposare appoggiandosi estenuata su di una roccia.
Infine, attenzionando lo sfondo, altre tre donne, come ‘bestie da soma’ si dirigono verso la vetta del monte trasportando sulle spalle dell’abbondante legna.
Un’altra opera, realizzata ad olio su tela e firmata da Patini nel 1884, è intitolata “Vanga e latte” portando alla luce delle condizioni familiari difficili.
L’uomo, posto a destra della scena, è intento a lavorare il terreno con la sua vanga, al fine di beneficiare delle sue culture.
A sinistra invece, una donna con le gambe distese per terra allatta suo figlio stremata, con la consapevolezza che, quel momento, sarà per lei l’unico motivo di sosta per poi riprendere con operosità la lavorazione nei campi.
In ultimo, incentrando l’attenzione sul significativo dipinto ad olio su tela “L’erede” percepiremo una fortissima sensazione di vuoto dove la povertà, sovrastando ogni certezza, l’appesantisce di responsabilità materiali.
Il bimbo, figurato in un forte stato di degrado, diviene ‘erede’ di una condizione dolorosa, in cui, sbrogliarne i molteplici nodi della vita genera, nella consapevolezza umana, del tormento incommensurabile.
Sua madre, rappresentata magistralmente dal pittore in una posa molto evocativa, si abbandona al suo dolore aggrappandosi ad un muretto divisorio e, con il busto chinato e il capo coperto, estroietta la sua incolmabile disperazione.
Il padre invece, distrutto dal lavoro, liberandosi delle scarpe e dei calzini, deposti vicino a sé, cerca di riposare sdraiato per terra, poggiando la testa su un grande sacco e coprendosi con una coperta dal colore scuro, proprio come la circostanza che li rende vittime di una vita amara.
Questa trilogia sociale di opere pittoriche, realizzate in sequenza inversa, ricamano le fragilità umane e le impreziosiscono di forza indirizzando le nostre riflessioni verso concetti di profonda sostanza e facendo tesoro di una grande morale che può essere contornata dalle parole di Mahatma Gandhi, il quale recitava questa massima: