Terza Pagina – Dal “cafone” siloniano ai personaggi di Paolo Villaggio
Ignazio Silone è stato capace, con un’analisi minuziosa, di descrivere non solo una attribuzione ma di denunciare la condizione e lo stato di uomini della Terra del Fucino con una attenzione rilevante.
Il dizionario della Lingua Italiana “Devoto-Oli”, dove Zingarelli propone l’origine etimologica sconosciuta, per il lemma “cafone”, riprende l’ipotesi avanzata per primo da Carlo Salvioni e accettata sia da Alberto Nocentini, che il sostantivo cafone derivi dal verbo cavare nel senso di “scavare, zappare, rivoltare la terra”, mentre altre ipotesi legate a nomignoli derivati dall’uso nel dialetto laziale o partenopeo appaiono meno attendibili.
Indubbiamente il termine con una accezione diversa, visto che è divenuta categoria sociale, riporta a persone umili, povere, legate alla terra per il proprio lavoro ed il proprio sostentamento, sovente sfruttate e private della speranza di poter emergere, salire la scala sociale. Sotto questo punto di vista, si potrebbe parlare quasi di una nuova servitù della gleba, trasposta dal medioevo nel mondo rurale del Fucino dopo il prosciugamento e asservita dai proprietari della immensa Conca, ovvero i Principi Torlonia.
Con quel suo dire che “In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe di Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire ch’è finito…” al quale fa eco “…Il cafone è un asino che ragiona. Perciò la nostra vita è cento volte peggiore di quella degli asini veri, che non ragionano. L’asino irragionevole porta 70 chili di peso, oltre non ne porta. L’asino irragionevole ha bisogno di una certa quantità di paglia. Tu non puoi ottenere da lui quello che ottieni dalla vacca, o dalla capra, o dal cavallo. Nessun ragionamento lo convince. Nessun discorso lo muove. Lui non ti capisce, o finge di non capire. Ma il cafone invece, ragiona. Il cafone può essere persuaso. Può essere persuaso a digiunare. Può essere persuaso a dar la vita per il suo padrone. Può essere persuaso ad andare in guerra. […] (da Fontamara, 1933), Silone ha fissato tutto il carattere ed i caratteri della povera gente sfruttata, al punto che “cafone” è divenuto quasi un luogo comune.
Se andiamo ad approfondire alcuni personaggi immortalati da Paolo Villaggio scopriamo che Fracchia o Fantozzi siano personaggi vessati nella migliore tradizione del travet italiano. Al di là dei toni, talora in verità ridicoli e ridicolizzanti – forse anche eccessivi, macchiettistici – Fantozzi mostra la realtà di una povera umanità assoggettata, per la necessità del lavoro, allo strapotere delle gerarchie societarie, costretto ad una sorta di adorante sottomissione verso personaggi che sono la personificazione del potere effimero che appare dappertutto.
Anni fa, ci han raccontato che nell’Associazione di ex-dipendenti di un nostro Ente Locale, gli ex-dirigenti, ormai in pensione, come i dipendenti, si siano preoccupati di mantenere, con grave disappunto degli associati, le stesse gerarchie, un tempo rappresentazione della struttura dell’Ente stesso. La grande differenza fra il cafone siloniano e i personaggi di Villaggio sta nel fatto che il “cafone” abbia trovato la forza per elevarsi, per evolvere verso figure più nobili, quale quella dello studioso, del professionista e, perché no, del ricercatore, del tecnico di altissimo livello come mostra quella Telespazio nata e cresciuta in un angolo del Fucino a dimostrazione che i “figli di questa terra” hanno saputo conquistar le stelle, mentre Fantozzi e Fracchia continuano, loro malgrado, una esistenza di sottomissione…