Terzapagina – Flavio Bucci: una fiamma che ha bruciato una vita…
Ieri la notizia che Flavio Bucci è venuto a mancare.
Attore singolare davvero Bucci: la sua notorietà arriva con l’interpretazione del pittore Ligabue, nello sceneggiato TV di Salvatore Nocita del 1977. E a ben vedere, nello strampalato pittore, s’era immedesimato non solo come parte ma anche nel riprenderne gesti e espressioni, ora stralunate ed ora inquietanti. La sua bravura in questo era stata fenomenale. E i personaggi strampalati ne aveva intepretati diversi e basterebbe pensare al Don Bastiano nel Marchese del Grillo a fianco di Alberto Sordi.
Giunto sul palco della ghigliottina aveva dichiarato: “…Voglio perdonare anzitutto er papa che se crede di essere er padrone del cielo, e poi Napuleone che crede d’essere padrone del mondo e, infine, voi, figli miei, popolo di Roma che non siete padroni di un c…”
“Ho speso tutto in alcol e droga, ma ho vissuto e amato: non mi pento…vi pare poco? Mi son goduto la vita…” – questa dichiarazione sembra la sintesi di una vita che, tuttavia, deve aver avuto i suoi dolori forse espressi proprio in scena. A proposito della droga bisogna ricordare la sua partecipazione alla Piovra del 1984, dove impersonò un prete a capo di una comunità di recupero per tossicodipendenti.
Aveva sempre trascurato la salute, bruciando come una fiamma che consumò rapidamente il suo splendore. Come non ricordare allora, a questo proposito, l’ammonizione di Tyrrell a Ron Batty nel Blade Runner?
Flavio Bucci ha bruciato la sua vita alla stessa maniera! Le ragioni? Difficili a trovarsi, in fondo forse è tutto racchiuso in quel suo “Ligabue”, dove riesce, in maniera davvero inquietante, ad interpretare l’allucinato pittore delle Valli di Comacchio. Dissero che la sua interpretazione fece bene all’arte, ma forse mise a nudo la sua anima, un’anima tormentata anche se quel suo “mi son goduto la vita” potrebbe far pensare altrimenti, ma in realtà crediamo che vivesse una solitudine interiore che si rifletteva nelle mille espressioni distorte dei suoi personaggi.
Di recente era stato anche qui ad Avezzano, proprio nella stagione di prosa, non quella ufficiale ma quella del cosiddetto Teatro Off che aveva aperto con uno spettacolo da epitaffio finale “Peccato e pensare che ero partito così bene…”; forse fu l’ultima occasione, persa da molti, per rivedere e salutare un attore che lascia la indelebile immagine del dolore del vivere, nascosta dietro una fiamma accesa e bruciante che divora la vita, lasciando l’illusione che se ne possa essere padroni…
Era nato a Torino nel 1947 da una famiglia immigrati di Campobasso. Ma è morto a Roma, dove viveva in una casa famiglia: questa la povera sintesi apparsa sui comunicati delle agenzie di stampa, davvero poco per un attore che, forse, avrebbe meritato una vita vissuta in modo migliore, ma fu una sua scelta e le scelte umane van rispettate proprio per quel libero arbitrio che ci fa uomini, anche se, in fondo, è la nostra mente che dirige l’orchestra che interpreta la sinfonia, talora tragica, dell’esistenza…
P.S.: Le immagini son di repertorio.