Terzapagina Letteraria. Michele Burgio «Un mondo che è stato, è e sarà?»

Munnu ha statu”: una frase che ha un sentore di immobilità, di eterna staticità e ripetizione…

E’ la frase che Michele Burgio mette sulle labbra di un vecchio magistrato che sta dinanzi a suo figlio, titolare di una indagine per omicidio assai intricata, sullo sfondo di una Sicilia di provincia, ma diversa dalla Licata d’un Montalbano o dalla Palermo dei Beati Paoli, da quella del Prefetto di Ferro, un luogo, in sintesi, dove l’odore della mafia c’è ma non è protagonista!

L’Autore, Michele Burgio

Michele Burgio, palermitano, già dottore di ricerca e abilitato al rango di professore universitario, insegnante di letteratura, tiene su FB sulla sua bacheca le “cartoline dall’Isola”, è stato segnalato alla XXXV edizione del Premio Calvino con un romanzo inedito, e appare come un Autore assai interessante sulla scena del thriller e del noir italiano.

Sovvertendo le regole fissate da S.S. van Dyne, l’inventore di Philo Vance, Michele Burgio, nel suo romanzo “Mondo è stato”, nella collana “Le Dalie Nere” delle Edizioni Ianieri, crea una storia dalle fosche tinte noir che riflette anche certe notizie di cronaca alla quale la nostra epoca ci ha abituati, ma lo fa con una dinamica particolare e avvincente.

Infatti, sovvertendo le classiche regole del “giallo”, dove un investigatore, con magari un suo vice, un assistente, indaga e scioglie le trame dell’enigma, dipana una storia resa complessa dai suoi aspetti più interiori in maniera del tutto nuova.

Nel libro di Burgio, non ci sono Sherlock Holmes e Watson e neanche un Poirot e un Hastings e, figuriamoci, un Montalbano e un Fazio o un Augiello, ma egli è riuscito a creare una sorta di “gran collegio d’indagine”, dove tutti i membri di una comunità svolgono la loro azione indagatrice, con i metodi, i sistemi, sovente spontanei, che ciascuno può porre in atto.

A fianco di Maira, un maresciallo dei carabinieri incline al compromesso sin troppo, stanno un sostituto procuratore che si sente fuori posto, due anziane signore, forse un po’ impiccione, che, comunque e forse inconsapevolmente, pongono l’attenzione nella giusta direzione.

Ma c’è pure un giornalista d’avanguardia, pentito e riconvertito e pure gli amici della vittima a dare il contributo a dipanare la matassa intricata che alla fine ha una soluzione inattesa.

Già perché Michele Burgio alla fine trova una soluzione che può sconcertare ma che è in linea con le regole violate così come è in linea col fatto che la verità, in una indagine o in un processo, sovente, è solo la verità “processuale”: può scontentare ma è l’unica che alla fine emerga.

Un Crocifisso da restaurare che scompare e poi riappare, una Curia che interviene nel processo delle indagini a latere e una verità vera, forse anche inconfessabile, che resterà nascosta, dietro le ipocrisie sociali e dietro il velo dipinto che, alla fine, la mafia crea sulla vicenda.

Non la mafia di Don Mariano Arena di Sciascia o quella di Massaro Turi Passalacqua di “In Nome della Legge” di Camillo Mastrocinque e neanche quella della “Piovra televisiva”, ma quella più intimamente legata al potere del singolo che non può accettare che sia divulgata la verità!

E così due omicidi si incastrano, l’uno nell’altro, nella verità vera che davvero risulta, infine, inconfessabile, inammissibile e inaccettabile per quelli che contano…

Una nota stilistica infine: una scrittura attenta, non ovvia, ma ragionata e intesa a rappresentare la fosca vicenda con la accorata visione che suggerisce: “Il mondo non varia!”.

Un romanzo che apre nuove prospettive ed anche nuove regole di indagine, su uno scenario collettivo nel quale, infine, per trovare il vero colpevole, tutti dovrebbero guardarsi nello specchio!