Terzapagina – “L’Italia è fatta ora bisogna fare gli Italiani…”
“Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani” con questa frase, associata in genere, a Massimo D’Azeglio, si vuole significare che per quanto l’Italia geograficamente e politicamente unita dal 1861, in essa, allora come oggi, sembrano voler continuare a regnare le differenze fra le regioni e la popolazione continua ad essere sostanzialmente un coacervo di popoli diversi e non solo per l’attaccamento a tradizioni e lingue (dialetti) diversi tra loro, ma anche per uno scarso senso di vera unità.
Camillo Benso, conte di Cavour, aveva ben chiara la situazione italiana, tanto è vero che per risolvere la questione iniziò a tessere una fitta rete di relazioni che, con l’aiuto straniero, avrebbe portato alle guerre all’Austria e quindi alla unificazione del territorio nazionale. Del territorio appunto, ma gli Italiani? Che il processo di unificazione sia rimasto scevro dal coinvolgimento delle grandi masse popolari appare indubbio e basterebbe citare le riflessioni di Montanelli nella sua Storia d’Italia, ma andando a ricordare Carlo Pisacane o i Fratelli Bandiera, e le loro sfortunate avventure, risulta chiaro che il popolo fosse “altrove”.
E così non è del tutto errato che la maggior spinta alla unità venne dalla borghesia e dall’aristocrazia, con un coinvolgimento delle masse popolari più ridotto, quest’ultimo evidente con la presenza di gruppi di giovani a Curtatone e Montanara (1848) e nei fatti della Repubblica Romana (1949).
L’apporto di Garibaldi, indubbiamente, e dei suoi volontari, dove in effetti c’era un misto di rappresentanza di più classi sociali, tentò di riequilibrare il divario nella partecipazione che, anche nella Giovane Italia di Mazzini, era assai notevole. Comunque sia, l’Italia si fece, ma subito dopo ci si accorse dei problemi, delle differenze, e ci volle Cuore di De Amicis per cercare di mettere a fuoco le grandi differenze fra le classi sociali, il divario, la separazione, ma anche la profonda diversità fra Nord e Sud anche rappresentata da quella sorta di colonizzazione che finì con l’essere la lotta al brigantaggio.
Il problema unitario finì con l’attenuarsi a seguito sia della Grande Guerra che con il corporativismo del Ventennio (che ebbe anche altri risvolti, in parte anche negativi ed in parte ancora da verificare) e, poi, con la Seconda Guerra ed il dopoguerra, ma non fu mai davvero risolto come dimostrano ancora oggi i discorsi federativisti padani, il richiesto e sedicente federalismo fiscale, per tacere di alcune mai sopite tendenze separativiste, sia al Sud che altrove (Nord Padano). Comunque lo Stato Unitario fu fatto nel 1861 e fu definitivamente sistemato con la Costituzione del 1948.
Ma veniamo al dunque!
Una immagine apparsa nei giorni scorsi nella nostra città lascia pensare un po’, specie in relazione alla battuta attribuita a D’Azeglio. L’immagine è quella che segue e nella quale si scorge, a lato, una scritta emblematica: “Qui si fa l’Italia”
Ora, appare legittimo chiedersi: se l’Italia è fatta, quale Italia vuol qui farsi? Una Nuova Italia? E se sì quale? Ma gli Italiani, al solito, dove sono? La domanda forse se la pone anche il fantasma di Massimo d’Azeglio, sempre che la frase sia sua…