Terzapagina. Rieducare alla politica, riscoprendone e rivalutandone valori e presupposti fondamentali
CELANO – Parafrasando una frase divenuta storica, si potrebbe dire che il concetto di Politica, nell’accezione più pura ed incontaminata del termine, è fatto, esiste. Chiaro e semplice. E‘ vivo. Ma non come oggi, divenuto strumento social, per qualche slogan lanciato alla rinfusa, per far presa sul dilatato sentimento di rabbia e raccoglierne i consensi. E’ tempo, semmai, di estirpare la mala pianta straripante dell’analfabetismo in cultura politica. Di rieducare, insomma, coloro che si dedicano a tale nobile disciplina, procedendo dalle basi, riscoprendone valori e presupposti.
I recenti fatti di cronaca giudiziaria, che hanno gettato ancora più ombre che luci sulla sgangherata politica nazionale, infatti, danno la stura a qualche analisi e riflessione. Orbene, non intendiamo addentrarci, non avendone titolo e competenze specifiche, nei meandri e reticolati della gestione ordinaria e straordinaria della giustizia, non emetteremo, cioè, sentenze affrettate ed a priori. Non cadremo, nel fin troppo abusato, luogo comune secondo il quale “la politica è ormai marcia”. In tale affermazione verrebbe da dire che, forse, un fondamento di verità c’è, ma non è il punto di partenza del percorso logico che, più modestamente, intendiamo affrontare in questa sede. Cercheremo di sviluppare, invece, un ragionamento che va più in profondità. Muniamoci allora di scafandro e respiratore e discendiamo più a fondo nell’animo umano, negli oscuri abissi dei comportamenti, osservandone con cura e delicatezza i molteplici risvolti, cogliendone appieno ogni possibile sfumatura e ragion d’essere. Sarebbe oltremodo stucchevole, a questo punto, riproporre il solito assioma secondo il quale “la politica è l’arte di governare”. Certo, il governo, la gestione ed il mantenimento del bene comune sono direttamente proporzionali alla quantità di buon senso, di onestà, di intelligenza e di responsabilità che il “governante” utilizza nel condurre la collettività verso una sempre più confacente qualità di benessere, sia esso sociale che civico. Con amarezza e disappunto, dobbiamo constatare che, tali imprescindibili principi, da qualche tempo a questa parte sono divenuti optional, spesso trascurati, quasi sempre scavalcati da un valore poco etico (comportamentale quindi) che antepone il vantaggio personale o di pochi, a danno del bene generale.
Secondo il nostro parere, condivisibile o meno non importa, siamo di fronte ad una visione distorta della Politica. Il senso etico è pressoché scomparso, e miglior sorte non è toccata alla morale ovvero alla sensibilità del pensiero. Etica e morale, le colonne portanti che hanno indirizzato tutto l’agire umano, sono sempre più spesso relegate a ruoli marginali. Le sovrastano regole diverse e contrastanti che non appartengono alla filosofia e buona educazione della politica, all’alto sentimento, cioè, che dovrebbe ispirare i prescelti ad un razionale e condivisibile atteggiamento nei riguardi della comunità amministrata, piccola o grande che sia. Quando viene meno il lume della ragione, fagocitato da egoismo, individualismo e menefreghismo, non può esserci altro risultato se non quello di un decadimento dei comportamenti e delle idee. Si potrebbe obiettare che è difficile rinunciare a comode e retribuite poltrone; che l’uomo è per sua natura debole, ma pronto a tutto pur di soddisfare il proprio narcisismo ed ostentare ricchezza e potere. Così facendo, si disperde, pericolosamente, il senso del pudore e il triste epilogo, per chi vuole essere “assopigliatutto”, è il “tintinnar di manette”, come, appunto, nei casi recenti. I tempi mutano è vero. In un certo qual modo bisogna adeguarsi, va bene anche questo. Ma non possiamo sottacere il fatto che la politica (quella sgarbata del nostro tempo) si faccia altrove, non più tra le persone, proponendo progettualità e raccogliendone sogni, speranze e necessità; non più nelle fabbriche o luoghi di lavoro (da quanto tempo, ad esempio, non si sente più la parola “operaio”); non più intesa come servizio, ma sempre più come opportunità da non mancare, per accrescere il patrimonio, personale o di una ristretta cerchia. Cercare le ragioni di tale degradamento è compito arduo ma non impossibile. Una delle motivazioni, a nostro parere, potrebbe essere la mancanza, la scarsità, la desertificazione della cultura politica. Non sono certo i titoli accademici, onorificenze varie e slogan ripetuti “a manetta” a far sì che una persona sia un buon politico o amministratore della “cosa pubblica”. I titoli e le menzion d’onore sono utili ma non indispensabili. Una buona preparazione non è solo aver letto libri e scritto qualche riga. In politica, oltre alla conoscenza tout court, serve anche un bene prezioso, ovvero l’esperienza. Maturata magari nell’ascoltare chi ha vissuto le stagioni dell’arte del governo politica non come tornaconto ma con passione e dedizione. Avere una buona cultura politica, insomma, significa soprattutto averne assimilato la deontologia, aver sviluppato le capacità di analisi e di sintesi, avere la sensibilità necessaria per saper distinguere il bene comune da quello privato.
In altri termini, rieducare potrebbe voler dire ripartire dagli elementi basilari, ricreando quel giusto mix di gusto e romanticismo del fare politica. Un nuovo modo per avvicinarsi alla gestione della cosa pubblica potrebbe essere quello di rivalutare l’importanza delle sezioni dei partiti, luogo d’incontro e di discussioni, spesso animate, ma dalle quali c’era sempre qualcosa da imparare e preservare. Rinsegnare potrebbe voler dire, infine, ripartire, dove possibile, dalla vecchia e cara gavetta, di cui oggi si sente la mancanza. Una forma di apprendistato, dimenticata in soffitta, ma necessaria per comprendere, mettendoci cuore ed emozione, che i frutti della scienza della politica sono un patrimonio non esclusivamente ad personam ma da condividere erga omnes.