Un Cioccolatino Storico. “Caro amico ti scrivo!”. Quando Seneca raccontò di devastanti terremoti
AVEZZANO- Buongiorno carissimi lettori ma soprattutto benvenuti al consueto appuntamento con i racconti del Cioccolatino Storico. Tutti noi abbiamo negli occhi le devastanti immagini dell’orrendo sisma che qualche giorno fa ha colpito la Turchia e la Siria provocando un numero di morti che cresce ogni giorno sempre di più: sono immagini che straziano il cuore anche perché, nella nostra storia, di immagini simili ne abbiamo viste svariate: pensiamo al 13 gennaio 1915, al 6 aprile del 2009 oppure al Terremoto di Amatrice.
Anche nel corso dell’antichità ci sono stati dei terremoti devastanti che hanno ucciso numerose persone e devastato case e edifici: tali eventi hanno spinto grandi personalità nel redigere dettagliati racconti oppure nel rappresentare (per via di bassorilievi e pitture, non esisteva la fotografia) i danni provocati. Tra questi testimoni noi di Espressione24 ne abbiamo scelto uno, il grande filosofo Seneca.
Nelle Questioni Naturali Seneca ci racconta uno dei più devastanti terremoti che hanno colpito la penisola italica ovvero quello del 5 febbraio 62 (o 63) d.C. che si verificò nella zona vesuviana (a Stabia precisamente) e che devastò le città di Pompei, Ercolano, Stabia e parte di Napoli. La scossa in questione che, secondo accurati studi non è da ricollegarsi all’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., ebbe una magnitudo di V-VI grado della scala Mercalli. Fece molti danni alle strutture architettoniche ma non abbiamo menzione di danni a persone; nella casa di Lucio Cecilio Giocondo (Pompei) abbiamo questo interessante bassorilievo:
foto web
E queste sono le parole che Seneca scrisse al suo amico Lucillo:
“O Lucilio, che sei il migliore fra gli uomini, abbiamo sentito dire che Pompei, frequentata città della Campania, dove si incontrano da una parte le coste di Sorrento e di Stabia e dall’altra quelle di Ercolano, e circondano con una ridente insenatura il mare che si ritrae dal largo, è sprofondata a causa di un terremoto che ha devastato tutte le regioni adiacenti, e che ciò è avvenuto proprio nei giorni invernali, che i nostri antenati garantivano essere al sicuro da un pericolo del genere” [Questioni Naturali, Libro VI,1].
E qui il filosofo ci fornisce anche il giorno dell’evento:
“Questo terremoto si è verificato alle None di febbraio, durante il consolato di Regolo e di Virginio, e ha devastato con gravi distruzioni la Campania, regione che non era mai stata al sicuro da questa calamità e che ne era sempre uscita indenne, anche se tante volte morta di paura: infatti, anche una parte della città di Ercolano è crollata e anche ciò che è rimasto in piedi è pericolante, e la colonia di Nocera, pur non avendo subito gravi danni, ha comunque motivo di lamentarsi; anche Napoli ha subito perdite, molte fra le proprietà private, nessuna fra quelle pubbliche, essendo stata toccata leggermente dall’enorme disgrazia: in effetti, alcune ville sono crollate, altre qua e là hanno tremato senza essere danneggiate [Questioni Naturali, Libro VI, 2].
Nei paragrafi 5 e 8, sempre delle Questioni Naturali, Seneca ci racconta le sensazioni umane dinanzi ai danni del sisma:
“Lo sbigottimento è generale, quando le case scricchiolano e si annuncia il crollo. Allora ciascuno si precipita fuori e abbandona i suoi penati e si affida all’aria aperta: a quale nascondiglio guardiamo, a quale aiuto, se il globo stesso prepara rovine, se ciò che ci protegge e ci sostiene, su cui sono situate le città e che alcuni hanno detto essere il fondamento del mondo, si apre e vacilla?[Q.N., VI, n.5]”.
“[…] E non mancano persone che temono maggiormente questo tipo di morte per il quale vanno a finire nell’abisso con le loro dimore e vengono strappati dal novero dei viventi, come se non ogni destino giungesse alla medesima conclusione. Fra le altre prove che la natura ci offre della sua giustizia, questa è quella decisiva: che quando siamo arrivati alla fine della vita, siamo tutti sullo stesso piano [Q.N., VI, n.8]”.
Sempre nella medesima opera Seneca ci parla di alcune zone dell’impero flagellate dal sisma, e ci rientra anche l’Asia Minore e la Siria. Così leggiamo:
“Tiro divenne un tempo tristemente famosa per le sue rovine, l’Asia Minore ha perso in una volta sola dodici città; l’anno precedente la violenza di questa sciagura, qualunque essa sia, ha colpito l’Acaia e la Macedonia, ora ha ferito la Campania: il destino fa il suo giro e, se ha trascurato a lungo qualcosa, ritorna per colpirla. Alcune zone le affligge più raramente, altre più spesso: non permette che nulla resti indenne e illeso [Q.N. VI, 13].
Nell’epistola 91 (sempre indirizzata al suo amico Lucillo) paragrafi 9-10 troviamo scritto:
“Quante volte città dell’Asia, città della Grecia sono crollate per una sola scossa tellurica! Quante città in Siria, quante in Macedonia sono state ingoiate dalla terra? Quante volte Cipro è stata devastata da questa calamità! Quante volte Pafo è precipitata su se stessa! Abbiamo spesso avuto notizia della rovina di tante città e noi, a cui vengono di frequente annunziate queste disgrazie, che minima parte siamo dell’umanità! Leviamoci, dunque, contro i casi fortuiti, consapevoli che la gravità dell’accaduto è inferiore a quanto si va dicendo”.
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Infine, andando avanti nel tempo, nel 526 d.C. l’allora impero Bizantino governato da Giustino I fu sconvolto dalla notizia del devastante terremoto (7.0 grandi della scala Richter) che distrusse la città di Antiochia di Siria provocando la morte di circa 300.000: nella tragedia morì anche il patriarca di Antiochia Eufrasio mentre l’imperatore si tolse i simboli imperiali e corse all’interno della chiesa piangendo e disperandosi per la sorte della popolazione e della città, poi mando soldi e aiuti. Così descrisse la vicenda il noto storico bizantino Procopio di Cesarea: “Un forte terremoto avvenne in Antiochia dove molti edifici e tra questi i più belli crollarono. Ci furono 300.000 vittime. Dafne fu scossa da un violento terremoto che ridusse l’intera città in rovina”.
Un Abbraccio storico