Un Cioccolatino Storico. Le Idi di Marzo del 44 a.C., cronaca del più celebre omicidio della storia
ROMA- Buongiorno carissimi lettori ma soprattutto benvenuti nel nostro settimanale appuntamento con la storia. La storia che oggi vi racconteremo in questo nostro nuovo cioccolatino storico ci porterà nell’antica Roma, e vi parlerà di una delle pagine storiche, di cronaca nera, più famose della storia: stiamo parlando delle Idi di marzo del 44 a.C. ovvero l’omicidio di Giulio Cesare.
Ma prima di affrontare il tema del Cesaricidio vi spiegheremo cosa sono in realtà queste idi di marzo: esse stanno ad indicare, più o meno, la metà del mese (in questo caso di marzo). Badate bene che gli antichi romani non segnavano i giorni in modo progressivo come facciamo oggi noi (1, 2, 3) ma usavano dei termini che indicavano periodi fissi. Ad esempio le CALENDE indicavano il primo giorno di ogni mese, mentre le NONE cadevano tra il V ed il VII giorno del mese (e ciò dipendeva dalla lunghezza del mese stesso). Quinti, le Idi sono i giorni di metà mese: ma c’erano due tipi di Idi:
- Le idi di gennaio, febbraio, aprile, giugno, agosto, settembre, novembre e dicembre che cadva il 13° GIORNO DEL MESE;
- Le idi di marzo, maggio, luglio e ottobre che, viceversa cadevano il 15° GIORNO DEL MESE.
Ma adesso veniamo al protagonista di questa vicenda: Giulio Cesare. Il 15 marzo del 44 a.C Giulio Cesare, forse uno dei personaggi dell’Antica Roma più conosciuti ed ammirati, venne pugnalato per ben 23 volte (così ci raccontano gli storici antichi) da un gruppo di congiuranti capeggiati da Gaio Cassio e Marco Giunio Bruto. Svetonio, nella Vita dei Dodici Cesari ci fornisce un buon resoconto dell’omicidio:
“Quando si accorse che lo aggredivano da tutte le parti con i pugnali nelle mani, si avvolse la toga attorno al capo e con la sinistra ne fece scivolare l’orlo fino alle ginocchia, per morire più decorosamente, con anche la parte inferiore del corpo coperta. Così fu trafitto da ventitré pugnalate, con un solo gemito, emesso sussurrando dopo il primo colpo; secondo alcuni avrebbe gridato a Marco Bruto, che si precipitava contro di lui: “Anche tu, figlio?”. Rimase lì per un po’ di tempo, privo di vita, mentre tutti fuggivano, finché, caricato su una lettiga, con il braccio che pendeva fuori, fu portato a casa da tre schiavi. Secondo quanto riferì il medico Antistio, di tante ferite nessuna fu mortale ad eccezione di quella che aveva ricevuto per seconda in pieno petto. I congiurati avrebbero voluto gettare il corpo dell’ucciso nel Tevere, confiscare i suoi beni e annullare tutti i suoi atti, ma rinunciarono al proposito per paura del console Marco Antonio e del comandante della cavalleria Lepido”.
Non sappiamo se realmente Cesare rivolse la frase a Bruto però sappiamo dov’è stato ucciso: l’omicidio avvenne nell’odierna Largo di Torre Argentina (dove sorge una delle colonie feline più grandi di Roma) tra il teatro ed il Tempio circolare della Fortuna nell’antica sede della Curia di Pompeo. La tradizione ci tramanda che Cesare morì ai piedi della statua del suo vecchio rivale.
In conclusione: oggi più che mai, state attenti sempre alle spalle. Un Abbraccio Storico