Un Cioccolatino Storico. “State buoni, se potete!”. Storia di Filippo Neri il santo della gioia
AVEZZANO-Buongiorno carissimi lettori ma soprattutto benvenuti al consueto appuntamento con i racconti del Cioccolatino Storico. Il 26 maggio la liturgia cattolica ci fa celebrare, ma soprattutto conoscere, la grande figura di Filippo Neri, il santo della gioia: ed oggi noi di Espressione24 vi racconteremo proprio la storia di questo santo, reso anche famoso da due pellicole cinematografiche “State Buoni, se potete” (1983) con Johnny Dorelli (nel ruolo di Filippo Neri) e “Preferisco il Paradiso” (2010) con l’indimenticabile Gigi Proietti nel ruolo del santo.
Ma chi era Filippo Neri? A Roma lo chiamavano Pippo Buono oppure Pippo il Buono ma non era romano, bensì fiorentino. Filippo nacque il 21 luglio del 1515 a Firenze fu secondogenito di messer Francesco Neri (notaio e alchimista) e di Lucrezia da Mosciano. La famiglia Neri proveniva dalla valle sopra all’Arno e grazie al loro lavoro di notai si erano acquistati una certa posizione nella Firenze del ‘400. Anche Francesco Neri esercitò la professione notarile, ma solo a partire dall’età di 48 anni, e più per forza che per amore, attratto maggiormente dall’alchimia che dalle scartoffie legali.
All’età di cinque anni Filippo restò orfano di madre (1520) e qualche anno più tardi il padre si riposò con tale Alessandra Di Michele Lensi che trattò il piccolo Filippo con tutto l’amore possibile.Il piccolo Filippo si lasciava facilmente amare per il suo buon carattere, e i ricordi della sorella e degli amici ci narrano della sua passione per il ben vestire, della sua vanità, ma anche del suo carattere pacifico e allegro, che gli attirò addosso il soprannome di “Pippo Buono”.
Filippo venne istruito nella scuola pubblica di Firenze, però la sua intensa formazione spirituale la ebbe tra le stanze e i chiostri del convento domenicano di San Marco. Firenze rimarrà sempre nel cuore del Santo, sebbene diventato romano di adozione dopo sessant’anni di vita nella “Città Eterna”. Lui stesso dirà spesso che ciò che aveva imparato di buono l’aveva appreso dai frati di San Marco. Del fiorentino rimase sempre in Filippo la natura, su cui lo Spirito di Dio poggiò le sue ali.
All’età di 18 anni, Filippo fu mandato – da suo padre – a Montecassino per esser istruito all’arte del commercio da suo zio. Ma quella vita non faceva per lui, Filippo preferiva starsene in disparte (soprattutto il montagna) tra preghiera e contemplazione. Questo fu notato da suo zio che lo lasciò andare per la sua strada.
Senza un becco di un quattrino, il povero Filippo si incamminò verso Roma: qui trovò alloggio presso la casa di un suo conterraneo fiorentino, tale Galeotto Caccia. In casa Caccia, Filippo fece da precettore ai due figli del Galeotto (Ippolito e Michele) e con lo stipendio che riceveva non corse di certo il rischio di arricchirsi. Consisteva infatti in un semplice sacco di grano che diventava, grazie ad un accordo col fornaio, un piccolo pane quotidiano che il santo condiva con un po’ di olive e tanto digiuno. Non aveva molti beni il nostro Filippo, ma possedeva la sua amata libertà.
Nel tempo a disposizione poteva infatti frequentare gli studi di filosofia nella vicina Università della Sapienza e di teologia al Sant’Agostino. Ma più che gli studi in quegli anni lo attrasse la vita solitaria e contemplativa. Si recava spesso nelle chiese poco frequentate, dove poteva in silenzio rivolgere il proprio cuore al suo Signore. La sua meta preferita erano i cunicoli di san Sebastiano. Queste catacombe erano allora poco conosciute, e qui, in una notte del 1544 avverrà un fatto che segnerà la vita del Santo. Mentre era immerso in preghiera, invocando lo Spirito Santo, un globo di fuoco penetrò nel petto di San Filippo. Il cuore si dilatò in modo tale da rompere, come constateranno i medici alla sua morte, due costole del lato sinistro, senza che egli ne sentisse mai dolore per cinquant’anni.
Filippo lascerà la casa di Galeotto Caccia e inizierà una vita eremitica fra le strade di Roma: dormirà sotto i portici delle chiese o in ripari di fortuna, chiederà il cibo in elemosina (il solito “pane e olive”), si spingerà alla carità e all’evangelizzazione e comincerà a visitare gli ospedali assistendo gli ammalati nel corpo e nello spirito. Ma Filippo era assai diverso dagli altri religiosi, era un tipo assai simpatico che amava le barzellette e gli scherzi, diceva sempre: “Fratelli, state allegri, ridete pure, scherzate finché volete, ma non fate peccato!”. Tantissimi giovani, su suo invito, abbracciarono la vita religiosa, mentre lui continuava a servire il Signore nel secolo.
E proprio questo rapporto con i giovani che portò Filippo nel realizzare l’Oratorio. E proprio uno dei primi discepoli di Filippo – che sarà il suo successore – fu un mezzo marsicano, di nome Cesare Baronio (sua mamma, Porzia Febonia, era nativa di Trasacco). Comunque, nonostante il suo esser bonario Filippo era consigliere di papi e nobili: pensate che nel Febbraio del 1586, con la Bolla “Egregia populi romani pietas”, Sisto V (er papa tosto quello che “nun perdona manco a Cristo!”) riconosce la antichissima pratica di far visita alle sette Chiese (resa famosa proprio da Filippo Neri). Ve la ricordata la scena del lancio della berretta cardinalizia? Bene, Filippo la fece per davvero. Il titolo di cardinale fu un premio che papa Clemente VIII (al secolo Ippolito Aldobrandini) volle concedere al santo per averlo fatto riconciliare con Enrico IV di Francia: tra le risate generali, Filippo disse “preferisco il Paradiso!”.
Il 25 maggio del 1595 Filippo, ormai vecchio e stanco, scese in chiesa a confessare prestissimo e celebrò la sua ultima Eucaristia. Ritornato a letto, dopo qualche ora, fissando il cielo disse: “bisogna finalmente morire”. Dopo aver benedetto i suoi discepoli, serenamente diede l’ultimo respiro. Era l’alba del 26 maggio 1595, festa del Corpus Domini.
Ah, “State buoni, se potete”
Un Abbraccio Storico
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