Un Cioccolatino Storico. Storia del Terribile incendio che devastò Roma nel 64 d.C.
ROMA- Carissimi lettori benvenuti al settimanale appuntamento con i racconti del Cioccolatino Storico. Oggi vi porteremo nella bellissima città di Roma, in particolar modo nei pressi del Circo Massimo, per raccontarvi un vero e proprio fatto di cronaca nera avvenuto tra la notte del 18 e del 19 luglio del 64 d.C. L’evento in questione è passato alla storia come il più celebre incendio che devastò Roma.
Quando pensiamo all’incendio del 64 d.C. una delle primo cose che ci può saltare alla nostra mente è una scena del celebre film del 1951 “Quo Vadis?” in cui l’imperatore Nerone – magistralmente interpretato dall’attore britannico Peter Ustinov- suona la lira mentre Roma brucia: bene, oggi dobbiamo superare certe vicende che non sono del tutto veritiere. Per molto tempo si è pensato che fosse stato Nerone ad incendiare l’Urbe, ma non è proprio così. Quest’oggi vedremo come andò la storia.
L’incendio del 64 d.C. scoppiò la notte tra il 18 ed il 19 luglio nella zona del Circo Massimo e si propagò per quasi tutta la città: sia Svetonio che Tacito ci dicono che l’incendio durò per ben sei giorni. Delle quattordici regioni (così si chiamavano i quartieri romani dell’epoca) che componevano l’antica Roma, tre di essi vennero totalmente distrutti. E furono:
- La III Iside e Serapis, corrispondente all’attuale Colle Oppio;
- La XI, Circo Massimo;
- La X Palatino.
Risultarono salve le seguenti regioni:
- La I Capena: essa prese il nome da una delle porte da cu si entrava in città lungo la via Appia: essa si estendeva a sud dal Celio lungo via latina fino oltre il successivo percorso delle mura aureliane;
- La V Esquiliae: essa comprendeva l’attuale Porta San Giovanni, parte della Via Tuscolana fino alla Porta Clausa;
- La VI Alta Semita: da Porta Nomentana a Porta Salaria;
- La XIV Transtiberim: questa regione oggi la si chiama Trastevere.
Non sappiamo il numero esatto dei morti e le stime dei senza-tetto sono molto approssimative, si parla di circa duecentomila persone. Tacito negli Annali (XV libro, cap 38,2), ci fornisce un chiaro resoconto degli attimi iniziali dell’incendio, scrivendo che: “Ebbe inizio in quella parte del circo vicina al Palatino e al Celio; qui attraverso le botteghe che contenevano merci combustibili, il fuoco appena acceso e sùbito rafforzato e sospinto dal vento si propagò rapidamente per tutta la lunghezza del circo. Non v’erano infatti né case con recinti di protezione né templi circondati da muri, né alcun altro impedimento; si diffuse impetuoso nelle zone pianeggianti, salì nelle parti alte, poi tornò a scendere in basso, distruggendo ogni cosa, precedendo i rimedi con la velocità del flagello”.
Fatto sta che l’incendio sarebbe stato alimentato da un forte vento che tirava in città e alle numerosi merci presenti nelle varie regioni. Lo storico Tacito, un po’ meschinamente, parla di alcuni personaggi che avrebbero impedito lo spegnimento delle fiamme: “Nessuno poi osava combattere il fuoco, per le ripetute minacce di molti che proibivano di spegnerlo e perché vi erano altri che apertamente lanciavano fiaccole e gridavano d’aver ricevuto ordine di farlo (Annales, XV. 38,7)”.
E Nerone? L’imperatore, con la sua corte, si trovava in vacanza al mare, ad Anzio per la precisione. Appresa la notizia si sarebbe subito occupato di soccorrere i senzatetto aprendo alcuni luoghi importanti dell’Urbe, come il Pantheon e i Giardini di Agrippa, per fare un classico esempio. Nonostante questi atti a favore del popolo, nei giorni successivi all’incendio, si diffusero delle voci che accusavano Nerone di aver incendiato l’Urbe. L’incendio si arrestò sulle pendici dell’Esquilino nel sesto giorno anche se, alcuni incendi minori si riaccesero, provocando molti danni ma poche vittime: uno di questi divampò nel giardino del prefetto del pretorio Tigellino, alimentando ulteriori chiacchiere. Furono proprio queste chiacchiere maliziose che, secondo Tacito, portarono le autorità nell’accusare i cristiani di aver incendiato la città. Lo stesso storico, che mal sopportava i cristiani («una setta invisa a tutti per le loro nefandezze» scriveva nel 44esimo capitolo del libro XV degli Annali), vedeva nei cristiani il capro espiatorio per le colpe di altri. Infatti scriveva, sempre nel 44esimo capitolo del libro XV degli Annali: “«Benché si trattasse di rei, meritevoli di pene d’un’atrocità senza precedenti, sorgeva nel popolo la pietà per quegli sventurati poiché venivano uccisi non per il bene di tutti ma per la crudeltà di uno solo».
Un Abbraccio Storico