Valerio Varesi ed il suo commissario “A Mani Vuote”
Porta il numero 3237 Il Giallo Mondadori che propone il romanzo di Valerio Varesi “A Mani Vuote” che mostra, forse davvero per la prima volta, un commissario Soneri che vince e perde al tempo stesso!
Abbiamo imparato a conoscere Franco Soneri, il commissario di Parma che deve possedere una sorta di anima e “… pazienza contadina…” come dice egli stesso verso le ultime pagine e mentre cerca di farsi dare una testimonianza dalla persona che in realtà sa ma che ha paura di dire…
La Parma di questo romanzo è scevra dalle sue nebbie, ma è avvolta da una calura estiva che ha un che di malato, così come lo è il tessuto sociale della città stessa.
La calura d’agosto avvolge la città, ma anche le persone e le cose, e sembra anestetizzare il tutto, tranne il questore Capuozzo che ha sempre più la smania di far apparire, e apparire egli stesso, efficiente e potente l’apparato che dirige, senza accorgersi che è una macchina faraginosa, in realtà, e talmente elefantiaca e, graniticamente, quasi inerte da impedire sia a Soneri che al magistrato Percudani di fare luce sui fatti come vorrebbero, come sarebbe necessario.
In fondo, il romanzo di Valerio Varesi offre, questa volta, non un Franco Soneri che insegue sé stesso, il suo passato, la sua malinconia, tra le nebbie delle vie di Parma o di quel fiume che è ridotto ad un rinsecchito fantasma, ma la fotografia di una società gravemente ammalata e gestita da faccendieri, grandi delinquenti organizzati, politici, dirigenti e funzionari compiacenti che, quest’ultimi, anche quando non lo sono veramente, come il questore, nella loro semplicistica visione del senso dello stato, diventano comunque complici di una malavita che, in fin dei conti, finisce con lo gestire i poteri e quel che c’è attaccato.
“Il male trionfa se i buoni rinunciano a combattere”: il vecchio adagio, randagia – se ci è consentito – e annusa, fra le pagine del romanzo e, mentre Franco Soneri ripercorre in un fugace pensiero la madre il padre, la perduta moglie ed il figlio mai avuto veramente, ecco che il profumo, il fumus – come direbbero tanti avvocati – della verità, della situazione reale che si intuisce, ma non può emergere, si affaccia, si mostra per un attimo e poi è riassorbita dal magma semi solido che blocca la città in una morsa.
“Torno a casa. Almeno per un po’. Là mi sento al sicuro…” dice lo straniero che sa, che potrebbe dire ma che non lo fa perché conclude dicendo, alludendo anche ai colpevoli “...Per me voi siete eguali! Che cosa mi offrite in cambio della collaborazione?… In fondo neanche a voi importa nulla…“
E queste parole crollano addosso a Soneri che “…avverte tutta la stanchezza…e non gli rimane che il sonno…”
Questa frase ha un po’ un sapore tutto chandleriano, quel finale del “Grande Sonno” quando dice Norman Chandler, quasi mettendo le parole sulla bocca di Marlowe “Che importa dove si giace, quando si è morti? In fondo a un pozzo melmoso o in una torre d’avorio sulla vetta di una montagna? Si è morti, si
dorme il grande sonno, non ci si preoccupa più di certe miserie…”
Ma non è questo il finale di Soneri!
Il suo pensiero immediato è “…pensò che l’unica fuga dall’insopportabile fosse il sonno…” ma, in realtà, vale la sua dichiarazione di poco prima: “Non credere che io molli…Terrò d’occhio i movimenti delle persone in città…“
E così, Franco Soneri continuerà la sua ricerca, quella di una verità che possa ridare credibilità alla vita e alla società.
Il piantone dice: “Se lei è d’accordo, io andrei…Credo non ci sia più bisogno e oggi è il 15…”
Il commissario lo lascia andare, ma per lui il giorno più caldo di agosto è un giorno ancora per pensare a mollare quel mestiere, ma domani, dopo quel sonno invocato per lenire il male interiore, sarà di nuovo per le strade di Parma, con l’eskimo o il giubbotto, i capelli arruffati e il toscano mezzo spento o mezzo acceso fra le labbra in cerca della Verità e, se possibile, della Giustizia!