“Vediamo le cose, non come sono, ma come siamo”: la legge dello specchio che non sbaglia mai
Gli occhi vedono.
La mente osserva.
E il mio io, parla.
Sempre.
Ecco, quanto spesso mi trovo nella certezza di conoscere la realtà e di dargli una corretta interpretazione?
Quanto, questa realtà che osservo esternamente a me, è realmente così distante dalla mia persona?
Molti sono gli studi di Psicologia dell’Io che sostengono che la realtà esteriore agisce come specchio sulla mente.
Sì, è chiamata la “legge dello specchio” che prova a spiegarci come la realtà osservata non sia altro che la proiezione della nostra realtà personale, relativa al nostro sentire.
E qui, l’inganno.
Se non mi interrogo su quello che è il mio risentito, se non sono consapevole di ciò che col mio atteggiamento proietto sugli altri, avrò una visione distorta, ma soprattutto statica e immutabile della realtà.
Proviamo in un altro modo, giriamo la diapositiva:
essere consapevoli di ciò che sentiamo, dei nostri sentimenti, delle emozioni, delle paure e, di conseguenza, di quello che proiettiamo esternamente a noi, quindi anche sugli altri, ci consente di capire chi siamo e che bisogni abbiamo.
In questo modo abbiamo un potere diverso sulla realtà: il mondo che ci circonda è solo un riflesso e se vogliamo modificarlo, lo possiamo fare partendo con il modificare noi stessi.
La ricetta, se così possiamo chiamarla, potrebbe essere quindi:
un pizzico in più di introspezione, una bella manciata di amore e comprensione su ciò che lo specchio mi riflette, abolendo il giudizio, ascoltando il cuore.
In fondo già Kant lo sosteneva: “Vediamo le cose, non come sono, ma come siamo.”
Chiara Ziveri
Come i sassi quando cadono nell’acqua
Il mal di testa mi tormentava, giorno dopo giorno.
Come una morsa d’acciaio comprimeva e si ficcava a metà strada tra le sopracciglia e l’occhio, dannatamente pulsante.
Solo il mattino era clemente dandomi un po’ di pace.
Mi ero seduta davanti al fiume che di solito scrosciava imponente tutto l’anno, quel giorno non c’erano che pietre bruciate dal sole, iniziai a tirare sassolini, come se ci fosse stata l’acqua di sempre ma il rumore era secco e arido come il letto di quel corso d’acqua, il caldo era soffocante come lo scorrere delle mie giornate.
Seduta sull’erba ingiallita e ostile attendevo l’ennesimo attacco di emicrania e cercavo, nelle pause libere dalla rabbia, una soluzione.
Nessuno fino ad allora era riuscito ad aiutarmi:
“Vedrà signorina con queste si scorderà il dolore” oppure “questo esame ci farà capire tutto e così potrà curarsi”, “questo metodo è infallibile, starà meglio di sicuro”, quante promesse…e invece niente di niente anzi, dopo alcune terapie stavo ancora peggio.
Ero sempre più arrabbiata e profondamente delusa.
Avevo sempre sofferto di qualche mal di testa di troppo, ma mai così come da 2 mesi a questa parte.
Gettai i sassi con sempre più violenza contro chi prometteva e non manteneva, contro chi mi deludeva dopo avermi illusa, contro chi asseriva di aiutarmi e poi non lo faceva, contro chi aveva promesso di proteggermi e non lo aveva fatto.
Non mi accorsi nemmeno delle lacrime che pulivano la polvere sulle mie guance lentigginose, né che il bimbo che mi si era seduto accanto, silenzioso e incurante, aveva iniziato a gettare i sassi sul letto del fiume e con la voce faceva il verso dell’acqua, come se ci fosse stata:
“Splash, splash ,splash”;
lo guardai dal profondo del mio buio, i capelli così rossi e spettinati che sembravano finti, due grandi occhi blu coronavano un visetto diafano, non aveva più di 5 anni.
Si voltò su di me sentendo il mio sguardo, sempre con uno strano atteggiamento incurante mi osservò in silenzio, chiuse lentamente le palpebre e poi riaprì gli occhi con un’espressione così solenne da sembrare buffa, poi continuò a buttare i sassi facendo il rumore dell’acqua con la voce.
Mi spazientii:
“Non ce n’è di acqua lo vedi?”
Avevo la mascella serrata da una desolante rabbia che certo non era per il mal di testa, ma per la letterale valanga che era la mia vita.
Pel di carota mi guardò e disse:
“Non importa se non c’è l’acqua, si fa finta che ci sia e prima o poi arriverà, arriva sempre!”
“Ma non è divertente!” osservai.
“Sì che lo è! Basta vederla lo stesso…splash, splash…”
Lo guardai mentre fingeva, come solo i bambini sanno fare, che ci fosse il fiume pieno e di poter sentire i sassi che formavano i loro cerchi delicati sulla superficie dell’acqua donando quella serenità che anch’io ero andata a cercare.
“Tu sei troppo triste, così, anche il fiume diventa triste” mi apostrofò il bimbo.
Sospirai rumorosamente e lasciai cadere lo sguardo sulle spigolosità delle grandi pietre che formavano il letto e sulle quali i sassi si infrangevano facendo un rumore tutt’altro che rilassante.
“Perché sei triste? Non puoi decidere di essere felice?”
La domanda mi fece sorridere trovandola estremamente infantile:
“No che non posso” replicai
“Perché?” Mi chiese spalancando gli occhi come se assolutamente non potesse esistere quel tipo di risposta:
“Perché la mia vita è un disastro e da due mesi ho mal di testa che nessuno mi ha ancora guarito”.
Il bimbo scrollò le spalle rassegnato:
“Puoi fare finta che ci sia l’acqua”.
Lì per lì la trovai una risposta incongrua e fastidiosamente tipica di un bambino di 5 anni.
Feci per alzarmi, ma il bimbo mi precedette e correndo via mi salutò sbracciandosi:
“Ciao signorina triste!” mi urlò.
Sbuffai cercando un po’ di tolleranza a quella che consideravo una sfacciataggine, tornai verso casa e andai in bagno a lavarmi la faccia impolverata e accaldata, alzai il viso dal lavandino e finalmente vidi nello specchio la mia immagine, guardai a lungo l’assenza impietosa di un sorriso, gli occhi sprofondati in uno sguardo buio e perso chissà dove, la bocca serrata in un’espressione appesa tra la rabbia e la rassegnazione di chi si aspetta solo problemi:
“Solo problemi dissi a bassa voce, la mia vita è una sequenza di problemi da risolvere”.
Mi appoggiai al marmo fresco del lavandino, mi guardai di nuovo e ciò che vidi non mi piacque per niente, anzi mi faceva proprio orrore, ero imbruttita esattamente come lo era il mio mondo e la mia vita.
Allora finalmente capii quello che il bambino dai capelli rossi voleva dirmi nella sua semplicità.
I problemi sono tali nella misura in cui li consideri dei problemi e quindi cerchi ostinatamente una soluzione, consumandoti letteralmente il cervello.
Ma è come noi ci specchiamo alla vita che fa la differenza e lascia aperte molte più porte alle possibili soluzioni, fosse anche quella…di far finta che l’acqua ci sia nel fiume.
Alzai lo sguardo verso lo specchio e provai a sorridermi così che quel bimbo dagli occhi blu non vedesse più la tristezza in fondo a me, rilassai lo sguardo, mi abbellii con un po’ di trucco e decisi di uscire per delle commissioni, in barba all’attacco di emicrania previsto di lì a poco e in barba ai “problemi” che decisi di lasciare a casa a sgrovigliarsi da soli nel telaio della vita.
Quel giorno imparai a buttare nello specchio le immagini che volevo si formassero nella mia vita, complete di emozioni, quel giorno imparai a sentire il rumore che fanno i sassi quando cadono nell’acqua.
Elisabetta Camporese
Informazioni e contatti:
Medico Chirurgo
Specialista in Psico Neuro Endocrino Immunologia (PNEI),
Medicina Sistemica e Cannabis terapia.
Psico Cannabis Coach, Counselor,
specializzata in tecniche connessione Mente-Corpo
Si riceve online e nelle città di: Milano, Padova, Olbia
Contatti: cmc.studio2021@gmail.com